PREMIO CALLIOPE 4: VI PRESENTIAMO I NOSTRI ECCEZIONALI OSPITI

Cancello ed Arnone (Redazione) – Tante le novità per questa nuova edizione, a partire dalla cerimonia di Premiazione che si terrà il 20 Ottobre 2018 presso il Ristorante LA TORTUGA, sito in Via Torre n. 2 Castel Volturno (CE). Saranno presenti, oltre al Comitato Organizzatore, alcuni membri della giuria ed il Comitato d’onore, nonché alcuni ospiti istituzionali, che premieranno i vincitori.

Per questa edizione il “Premio di Poesia Calliope 4” avrà anche un fine benefico; per la circostanza, infatti, è prevista una cena-spettacolo di beneficenza al costo di € 25 e parte del ricavato andrà a favore della Fondazione Italiana Leonardo Giambrone per la lotta alla Thalassemia.

Nel corso della serata saranno assegnati dei premi speciali ad alcuni personaggi casertani che con il loro operato contribuiscono a tenere alto il nome di una provincia come quella casertana dove le numerose eccellenze vengono oscurate dalle frequenti emergenze:

Il giornalista e scrittore Salvatore Minieri che, pur sapendo di mettere a serio rischio la sua vita, come un guerriero della luce continua tuttora a squarciare con i suoi libri e le sue denunce il velo oscuro fatto di di omertà, indifferenza e clientelismo, che copre la provincia di Caserta.

ECCOVI UNA SUA BREVE CRONISTORIA:
Salvatore Minieri (1973) è un giornalista e scrittore italiano.
Giornalista professionista, scrittore e reporter.
Ha lavorato per Il Mattino , La Gazzetta di Caserta, Il Roma, Corriere di Caserta, Italia News. Le sue inchieste hanno portato alla luce alcuni scandali nel campo delle ecomafie operanti nel Mezzogiorno italiano.
Nel gennaio del 2008, dopo la pubblicazione di una sua inchiesta sui beni gestiti dalla malavita organizzata, è stato vittima di un attentato intimidatorio a colpi di arma da fuoco, nei pressi della sua abitazione.
Ha pubblicato il libro, nel 2014, “I Padroni di Sabbia – Castel Volturno, storia di un abbandono”, sulla condizione delle coste campane e dei corsi d’acqua avvelenati in provincia di Caserta.
Nel 2015, un suo reportage ha fatto scoprire la più grande discarica tossica d’Europa, venuta alla luce a Calvi Risorta, in provincia di Caserta.
Nel 2016, ha pubblicato il libro “I Pascià, storia Criminale del clan Bardellino e della discoteca Seven Up”, nel quale ha svelato i segreti della nascita dei Casalesi e le collaborazioni del clan casertano con i cartelli di Escobar, sotto l’egida del Partito Socialista Italiano, della Massoneria e della parte deviata della Democrazia Cristiana. Per la prima volta, ne I Pascià è stata avanzata l’ipotesi di attentato per l’esplosione mortale della grande discoteca di Formia (Latina), gestita proprio dal clan Bardellino con le ombre della Banda della Magliana che avevano iniziato a interessarsi ai pacchetti azionari della struttura. Il libro è stato stampato in tre edizioni, visto lo straordinario successo ottenuto a pochi mesi dall’uscita.
A luglio del 2017, ha pubblicato il libro “Criminal, Enriqueta Martì la donna più sanguinaria d’Europa” (Edizioni Italia, 367 pagine), un viaggio terrificante nella Barcellona di inizio Novecento che tratteneva il fiato al passaggio di Enriqueta Martì, la Vampira di Barcellona, prima donna a sfruttare la pedofilia come fonte “industriale e massiva” di guadagno, tra gli orchi della Catalogna più ricca e borghese. Il libro si è aggiudicato il Premio Letteratura 2017, Fondazione Culturale “A.De Sisto”. Il testo tratta anche della condizione politica europea nei primi decenni del Novecento e documenta le rivoluzioni barcellonesi (con atti mai pubblicati prima) contro lo strapotere del clero e della politica di Madrid.
È stato minacciato più volte dai clan della zona in cui si ostina a vivere. Una delle sue denunce ha trascinato davanti alla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli i figli del ras Vincenzo Lubrano, vicinissimo a Totò Riina e a Bernardo Provenzano, coinvolto, inoltre, nell’uccisione del sindacalista Franco Imposimato, fratello del Giudice Ferdinando (il primo omicidio del viluppo sanguinario tra Mafia, Camorra e Banda della Magliana)
Ha vinto il Premio Nazionale “Olmo” per la sezione Giornalismo d’Inchiesta e gli è stato assegnato il Premio Nazionale “Legalità Campania” e il World Solidarity Award, per il suo impegno professionale in difesa dell’ambiente e della legalità. Vive tra Formia, sul litorale laziale, e Pignataro Maggiore, in provincia di Caserta.

 

Maria Luisa Ventriglia, una donna partorita dal più forte dei dolori che un essere umano possa provare, la perdita del proprio figlio a causa di una malattia neurodegenerativa provocata dall’ingestione di carni infette ed al cui capezzale lei ha giurato a se stessa di rendergli giustizia informando l’opinione in merito alle encefalopatie da prioni.  MARIALUISA VENTRIGLIA E’ AUTRICE DEL LIBRO “NERO SU BIANCO” – LA VITA DOPO IL DRAMMA: IL LUTTO, L’IMPEGNO, LA RINASCITA. QUESTO E’ IL LIBRO “NERO SU BIANCO”, STORIA DI UNA MADRE, MARIA LUISA VENTRIGLIA, RINATA DOPO LA PERDITA DEL FIGLIO.
Per lo scrittore napoletano Vincenzo Torella “Nero su Bianco” è “un romanzo, un diario, un tributo a una vita spezzata. Uno sfogo, una denuncia. Tante sono le definizioni, ma tante soprattutto le emozioni, che attraversano il viaggio emotivo tracciato nelle pagine del libro. Il viaggio emotivo di una madre che lotta, che cade e si rialza, che cerca la verità, che si informa, che protegge la sua famiglia, che fa fronte alla tragedia meno comprensibile: sopravvivere ad un figlio che ha perso la sua battaglia contro una malattia che poco ancora fa sapere di sé. E’ un libro che resta tatuato addosso, come un segno indelebile, come un insegnamento dal valore inestimabile. Dopo questo viaggio emotivo non si torna indietro”.

Vittorio Russo, capitano di marina, giornalista e scrittore che ha saputo trasfondere nelle sue opere le emozioni dei suoi viaggi traducendole in autentiche lezioni per affrontare il viaggio più lungo, quella vita che ci scorre davanti agli occhi e che impariamo a vedere nella sua essenza, solo se proviamo a spogliarci delle nostre sovrastrutture ed è allora che riusciremo a parlare davvero con l’altro da noi, che sia un uomo bianco, nero, giallo, un cane, un gatto, una formica, un ruscello, un albero o un fiore. Vittorio Russo è nato a Castel Volturno nel 1939.
Capitano di marina mercantile nonché giornalista, è autore di numerose monografie e di racconti di viaggio. Cultore di studi storici e di storia delle religioni, è l’artefice di una ricerca sul Gesù storico in contrapposizione al Cristo della fede. L’opera è articolata in due volumi: Introduzione al Gesù storico e Il Gesù storico pubblicati alla fine degli anni ’70.
Uno dei suoi lavori letterari più famosi è L’India nel cuore pubblicato nel 2012 da Baldini e Castoldi (premio letterario Albori-Costa d’Amalfi 2012).
Dopo gli studi presso l’Istituto Nautico di Napoli Duca degli Abruzzi è stato imbarcato su navi militari e mercantili. La descrizione dei paesi visitati appare in molti suoi lavori. Particolarmente interessato ai problemi del sacro, ha approfondito le sue ricerche con lo storico del cristianesimo Ambrogio Donini e il biblista Marcello Craveri. Ha pubblicato studi di cristologia. L’autore ha collaborato alla stesura del testo Rajasthan Delhi Agra (Touring Club Italiano ed. 2016). L’ultimo libro, Transiberiana, è stato pubblicato nel novembre 2017 da Sandro Teti Editore.

‘Transiberiana’ di Vittorio Russo- La recensione

Un viaggiatore sfida l’enigma della lontananza con una cascata di impressioni che, stazione dopo stazione, diventano lezione di vita
stazione, diventano lezione di vita

“Oh i treni come assomigliano alla vita” diceva Dino Buzzati nel racconto ferroviario intitolato Qualcosa era successo. Treni pendolari, purgatori itineranti, treni prigione, inferni di lamiera come nel drammatico incidente di questi giorni, treni deportati come quelli che partivano dal Binario 21 della Stazione centrale di Milano diretti ai campi di sterminio. Treni condensato di umanità, serpenti primordiali, promessa d’orizzonte. Treni leggendari, finestre sull’ignoto, cibo per viaggiatori capaci di catturare frammenti di spazi senza tempo. Ad esempio la Transiberiana, in questo emozionante reportage di Vittorio Russo.
La dismisura spaziale e il patto del viaggiatore
Lo scrittore affronta la ferrovia più lunga della Terra con spirito da viandante, da animista laico, preparando con cura una doppia sfida: quella con le sue distanze “intimidatorie” – dodicimila chilometri da Mosca a Vladivostock, sul mar del Giappone, compresa una deviazione in Mongolia – e quella con sé stesso. L’avventura di un viaggio, spiega nel prologo, muove dalla predisposizione a spogliarsi della logica preordinata per lasciare spazio agli enigmi. Specie nel cerchio dantesco della terza classe, che nel mondo occidentale le ferrovie hanno abolito insieme agli interregionali, come se si potesse sopprimere un intero continente umano.
La forma del suo raccontare è nello stesso tempo aulica e sommessa, colta e poetica, raffinata e romantica. Con mitezza straordinariamente empatica ci presta le sue papille per assaggiare un acido borsc nel vagone ristorante, e subito dopo il suo esperanto per districarci nella babele linguistica dello scompartimento. Ci contagia ora con aristotelica eudaimonia, la felicità desiderata o intravista nell’incontro con l’altro, ora con il disagio di solitudini affollate di rumori. Ci fa commuovere davanti al sorriso di un bimbo e tremare sotto lo sguardo tagliente di una guardia di confine. Sempre ci presta i suoi occhi per guardare fuori dal finestrino. E scoprire che “ogni cosa è eternamente un’altra cosa”.
Verso est, verso un altrove senza orizzonti
Dopo un assaggio di Mosca con le sue grandi meraviglie e grandi contraddizioni, fra il luna park della cattedrale matrioska e i sotterranei della metropolitana arredati a salotto, una volta superati gli Urali il tempo rallenta il proprio ritmo. Il corpo asseconda l’incessante rollio della rotaia, il respiro si assesta sul colore della terra nuda. Ekaterinburg, Omsk, Irkutsk, villaggi radi come presepi polari nella foresta di betulle. In Siberia Vittorio Russo sperimenta la metamorfosi del viaggiatore: diventare egli stesso un andare, una semplice antenna percettiva. Si abbandona agli incontri, alle fantasie, alle digressioni sui binari dell’anima.
Belle e profonde, le storie del lago Bajkal pescano in uno sciamanesimo devoto a tutte le forme viventi. Si doveva venire fin qui, uno potrebbe pensare, per ripassare l’intima correlazione del mondo, concepire il rispetto della natura e della sua ciclicità come il senso stesso della vita? Sì, a volte il senso del viaggio è questo, tornare all’essenziale, espellere dai pensieri il calcolo di un tornaconto, guardare la diversità come risorsa, ammettere che solo la relazione costruisce l’identità degli uomini. Fra le storie del lago Bajkal c’è anche quella degli scalpellini friulani che vennero fin qui a morire di freddo lavorando a un ardimentoso tratto di Transiberiana. Un’altra piccola lezione di vita.
Il “fuori pista” in Mongolia costituisce un avvincente diversivo cominciato con 14 ore di autobus da Ulan-Udé a Ulaanbaatar, “avviluppati e sovrapposti come le foglie di un carciofo”. Quel continente misterioso è popolato da gente – appena 3 milioni di persone in un territorio sei volte più grande dell’Italia – capace di dialogare con le foglie e con le pietre, con i ruscelli e con le aquile. Accompagnato dalla dolce Tuya, la guida che conserva nel nome la “luce dell’alba”, Vittorio Russo penetra nella quotidianità essenziale delle gher, le tende dei nomadi, assorbe il panteismo sciamanicodegli anziani, rilegge il mito feroce di Gengis Khan e il mito gentile del buddhismo tibetano, avventurandosi perfino a montare un cavallo mongolo.
Nomadismo e fratellanza
La magia riempie gli spazi verdi e smisurati, riverberandosi nel silenzio della steppa. E perfino di fronte alla circospezione minacciosa dei doganieri mongoli, davanti a quei volti d’una “bruttezza aggressiva” e “senza nessuna traccia di pensiero”, lo scrittore mantiene lo sguardo aperto, non giudicante, esploratore di un mondo che si svela solo a frammenti. L’ultima tappa è l’imprevedibile Vladivostock, città-adolescente, multietnica, vibrante, piena di riminiscenze italiche eppure simbolo di una distanza ancora tutta da colmare, città di cui nell’inserto fotografico mi rimane impressa un’immagine che parla da sola: libri a disposizione di tutti in un parco pubblico.
Più che la virtù dei forti, come dice il proverbio, la pazienza è la condizione di molti, o meglio di tutti, conclude Vittorio Russo nell’epilogo, riferendosi all’etimologia del verbo patire. Ma sarebbero parole vuote senza quei dodicimila chilometri alle spalle, ancora traboccanti di umanità. Partire, farsi inghiottire dal nulla, ampliare la visione. Gialli e bianchi, russi e buriati, circassi ed evenchi, mongoli e siberiani. Da un libro come questo si impara fra l’altro a non fidarsi mai del sentito dire. Il messaggio è limpido, universale: “ai popoli bellicosi della Terra occorrerebbe un tirocinio d’amicizia sulla Transiberiana”.

Vittorio Russo
Transiberiana
Sandro Teti Editore

Un altro ospite eccezionale che sarà premiato al “Calliope” 4 è il grande chef Antonio Del Sole  Egli è il titolare e proprietario del Ristorante La Tortuga. A vederlo si capisce subito che è un uomo ricco di valori e di tanta umanità, che fanno da cornice alla sua eccellente personalità.
Un uomo, un artista dei fornelli, un padre di famiglia, ricco di valori che in tanti anni di sacrifici si è saputo aggiudicare non solo la simpatia della sua affezionata clientela, ma anche l’attenzione dei critici del settore, tanto da essere insignito nel 2014 della Stella d’Oro al Merito come Discepolo di Escoffier.
Oggi Antonio Del Sole è il presidente del Campania Team – Associazione Nazionale dei Cuochi, responsabile dei corsi di cucina che si organizzano negli istituti penitenziari della Campania e in particolar modo in questo ultimo periodo nel carcere di Pozzuoli, tutto con il fine primario di insegnare una professione che possa permettere agli ex detenuti di realizzarsi dopo aver scontato la pena.
«Ecco perché – afferma lo chef Del Sole – parliamo di “ricette di speranza”, per offrire, con passione e piacere a chi è cresciuto a pane e violenza, l’appetito per il bello e per il buono».
Le sensazioni che Antonio vive durante questi insegnamenti è di poter riuscire a recuperare i giovani e sinora ne va fiero perché ne ha recuperato circa una quindicina, di cui alcuni hanno lavorato e stanno lavorando presso il suo ristorante e altri ristoratori della zona, senza avere riconoscimenti di nessun genere dalle istituzioni del territorio.
Un valido collaboratore che affianca Antonio Del Sole nel suo progetto è il maestro pasticcere Ciro Maiorano della Pasticceria Lisita di Mondragone, anch’egli iscritto al Campania Team.
Lo Chef afferma che l’80% della clientela viene nel suo locale per mangiare, ma un 20% si presentano per affiancare le sue opere sociali.
Si assume in tutte queste opere una grande ricchezza interiore e Antonio fa riferimento, emozionandosi, ad una cena tenutasi a Pozzuoli il 29 dicembre scorso con la Comunità di Sant’Egidio tenendo ospiti anche ragazzi musulmani, i quali hanno mangiato quello che lui aveva cucinato senza infangare la loro religione.
Antonio è vicino alla Caritas affiancando il personale volontario che si avvicina ai barboni e per essi lui cucina un pasto caldo. Anche il Maestro Ciro Maiorano afferma che queste opere riempiono il cuore e l’animo, arricchendo tanto la persona.
Purtroppo le istituzioni non sempre mantengono le promesse fatte e quindi si va avanti con il cuore e ti senti soddisfatto. Il piatto preferito dello Chef Antonio Del Sole che lo rappresenta è la “Casareccia alla Gennarino” mentre per il Maestro Pasticcere Ciro Maiorano è la “Coda d’Aragosta”.(di Antonino Calopresti
Foto di Gabriele Arenare
Tratto da Informare)

Ma come non parlare del nostro eccellente ospite Patrizio Oliva nato a Napoli il 28 gennaio 1959. Ex pugile. Medaglia d’oro alle Olimpiadi di Mosca (1980), da professionista disputò 59 match con 57 vittorie (20 prima del limite) e due sconfitte. Fu campione italiano, europeo e mondiale (1986-1987) dei superleggeri ed europeo dei welter. È stato ct della Nazionale azzurra. «Non c’è stato un solo match che abbia iniziato senza tremare. La paura saliva le scalette con me».
• «È partito da Napoli, quartiere Poggioreale, infilando le mani nei guantoni per scappare dalla fabbrica di reti per materassi, stava alla saldatrice, la sera non riusciva a tenere gli occhi aperti. Doveva metterci delle fettine di patate sopra. La palestra era in centro, tre autobus da prendere. “Gli altri sfottevano: addo vaje? Tornavo alle 10 di sera e loro seduti fuori al bar. Se torno adesso forse stanno ancora là”» (Angelo Carotenuto) [Rep 11/11/2013].
• «Era uno che spesso si lasciava andare ai sentimenti. Uno che non praticava boxe-spettacolo (ma quando lo faceva, tipo il match-capolavoro contro Ubaldo Sacco, era da applausi a scena aperta), e a volte indulgeva in atteggiamenti un po’ troppo anema e core» (Claudio Colombo).
• «Aveva la boxe nel sangue, non il fisico. Ma l’intelligenza ha fatto la differenza» (Orlando Giuliano).
• «Lasciava il ring dedicando la vittoria al figlio, con la frase “Ciro, a papà”» (Corriere della Sera). Spinto dalla figlia Alessandra, nel 2007 fece la maturità: «Mi ha detto, papà diplomati così poi ci iscriviamo all’università e prepariamo gli esami assieme. Diciamo che stavolta ho detto “Alessandra, a papà”». Sposato in secondo nozze con Nilia, ha altre due figlie: Marzia e Martina.
• Nell’ottobre 2013 ha debuttato al cinema come protagonista nel film Il Flauto, regia di Luciano Capponi. Visto anche a teatro nel ruolo di Pulcinella nello spettacolo 2 ore all’alba.
• «Se rinasco faccio il cantante» (a Riccardo Signori).
• Dopo dodici anni trascorsi a Formia, è tornato a vivere a Napoli. (GIORGIO DELL’ARTI).

 

Ci sono ancora tanti ospiti che non mancherò di ringraziare in un altro momento perché, come potete notare il pezzo è diventato troppo lungo e rischio di non farlo leggere a nessuno.

Allora mi fermo qui dandovi appuntamento al 20 p.v. NON MANCATE!

 

Cancello ed Arnone 12 Ottobre 2018

 

 

 

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