Presentazione della biografia di Miriam Mafai scritta da Lidia Luberto . Oggi 11 Luglio 2020 – Lido Luise – Castel Volturno. Recensione di Alfonso Caprio

L. LUBERTO, Miriam Mafai, Lucca, Maria Pacini Fazzi Editore, 2018, pp. 81.

Lidia Luberto, docente di lettere e giornalista, ha pubblicato nel 2018 per la collana Italiane diretta da Nadia Verdile ed edita da Maria Pacini Fazzi Editore una biografia dal titolo Miriam Mafai, il libretto si apre con una Prefazione di Irene Giacobbe, una Premessa della stessa Autrice, segue il racconto dell’intera vicenda umana della protagonista diviso in sei capitoli, nel finale, si ritrovano:  l’elenco delle opere pubblicate dalla Mafai, la sua Bibliografia e la sua Sitografia.

Miriam Mafai è stata tra le maggiori protagoniste femminili dei grandi eventi e delle battaglie politiche e civili che si sono susseguite lungo tutto il corso del XX secolo, essendo nata a Firenze il 2 febbraio 1926 e deceduta a Roma il 9 aprile 2012. Miriam Mafai all’anagrafe Maria Mafai è figlia del pittore Mario Mafai e della pittrice e scultrice Antonietta Raphaël di origine ebraica, il «nonno materno era un rabbino» (p. 14); insieme alle sorelle Simona e Giulia ebbero il cognome della madre fino a quanto i genitori non si sposarono nel 1935. La Mafai dovette abbandonare il ginnasio, con l’introduzione delle leggi razziali del 1938 volute dal regime fascista. Partecipò a Roma, a seguito dell’armistizio dell’8 settembre 1943, alla Resistenza, distribuendo volantini contro l’occupazione tedesca e «un giornale clandestino che si chiamava l’Unità» (p. 19). Nel dopoguerra fu inviata dal Partito Comunista Italiano in Abruzzo come funzionaria e qui rimase per dieci anni; nel 1949 sposò civilmente Umberto Scalia, segretario della Federazione del PCI della città dell’Aquila, dalla loro unione nacquero i suoi due figli Luciano e Sara. Nei primissimi anni Cinquanta partecipò insieme ai contadini del luogo alle lotte per l’assegnazione delle terre del Fucino appartenenti al principe Torlonia; fu eletta consigliere comunale di Pescara e successivamente fu nominata assessore alla Sanità e assistenza. Nel 1957 seguì il marito a Parigi dove intraprese la carriera di giornalista, scrisse per varie testate come «l’Unità», «Paese Sera» e «la Repubblica», di cui è stata anche fondatrice. Nel 1962 iniziò una relazione con Giancarlo Pajetta, conosciuto in gioventù di quindi anni più anziano di lei, che susciterà un grande scandalo all’interno del partito ma la loro unione durerà fino alla morte di quest’ultimo avvenuta improvvisamente nella loro casa nel 1990. La Mafai fu eletta presidente della federazione nazionale della stampa nel 1983 e restò in carica fino al 1986. Nel 1994 aderì al partito Alleanza Democratica e fu eletta alla Camera dei Deputati nella XII Legislatura. È stata direttrice della rivista «Noi Donne», autrice, oltre che di innumerevoli articoli giornalistici, anche di libri come: Botteghe Oscure, addio, Com’eravamo comunisti, Dimenticare Berlinguer, La sinistra italiana e la tradizione comunista e Pane nero, in questa ultima racconta la vita quotidiana di numerose donne: madri, mogli, ragazze, operaie, partigiane dell’Italia fascista. 

Questa per sommi capi la biografia di Miriam Mafai, per ricordare brevemente chi era questo personaggio, che ha attraversato tutto il XX secolo prendendo parte a quelle battaglie, che hanno cambiato in meglio il destino delle donne italiano.

Lidia Luberto in questa sua biografia pone, secondo me, in luce tre aspetti della personalità della Mafai, quello di donna e madre, quello di attivista politica e quella di giornalista interessata al rinnovamento profondo che attraversava la società italiana della sua epoca.

La nostra Autrice, per quanto riguarda l’aspetto degli eventi più propriamente umani e familiari tende a sottolineare «l’ideale di una donna nuova: forte, determinata, coerente, coraggiosa, capace di scelte controcorrente, che segue la propria strada fino in fondo» (p. 10), dal racconto emerge una donna che è «una forza della natura, instancabile, aveva un’energia vitale straordinaria, e la metteva in qualsiasi cosa facesse. Non ammetteva limiti, non si fermava davanti agli ostacoli. Anche nelle battaglie della sua vita, che non mollava fino a che non ne vedeva la soluzione» (p. 18). Appena dieci giorni dopo aver partorito, il primo figlio, Luciano torna al suo posto di lavoro a Milano presso la Scuola femminile dove teneva alcuni corsi, anche nel 1953, quando nasce la secondogenita Sara «non si concede che pochi giorni di riposo: è di nuovo in campo come funzionaria del Pci» (p. 34). L’impegno politico e giornalistico la porterà a sacrificare anche il tempo da dedicare a questi due figli e di ciò ne è consapevole quando racconta che ne affidava molte volte la cura ad amiche o a semplici conoscenti. Gli stessi figli le fanno notare, canzonandola, che se pure è stata una pessima madre, è: «un’ottima nonna e una straordinaria bisnonna» (p. 49), infatti amò molto i nipoti e quel tempo che aveva sottratto ai figli lo dedicò a loro portandoli al «cinema, ai musi, in vacanza» (p. 4)).

La relazione che intraprende con Giancarlo Pajetta si basa sul «rispetto assoluto delle rispettive passioni, impegno ed esigenze. Nessuno chiede all’altro di rinunciare al giornalismo o alla politica» (p. 45). La loro unione era fondata sulla reciproca autonomia, la stessa Mafai racconta di essersi trovata bene con Pajetta, perché il loro era stato «un amore nel senso più autentico del termine, incontrato da giovane ma poi vissuto come tale in età adulta. […] Lui non si sentiva secondo rispetto al mio lavoro e io non  mi sentivo seconda rispetto alla politica. […] La politica era la sua passione, il giornalismo la mia» (p. 45); asseriva che «Tra un week and di passione con il mio Pajetta e un’inchiesta giornalistica io sceglierò sempre, deciderò sempre per la seconda».      

L’attivismo politico della Mafai è raccontato dalla nostra Narratrice fin dai suoi primi incontri con il primo comunista della sua vita e cioè il giovane Rinaldo Ricci, conosciuto frequentando la Biblioteca Nazionale di Roma, «che la mette in contatto con alcuni rappresentanti dell’organizzazione clandestina del partito comunista» (p. 19), al quale si iscriverà nel 1943, un’adesione di cuore, un vero e proprio innamoramento, «una storia d’amore  nella buona e nella cattiva sorte, una storia di esaltazione, di passione, di amarezze, di fedeltà» (p. 23), come lei stessa racconta. La prima campagna elettorale, pur non essendo lei candidata, la porta in Basilicata nel 1948, dove di solito parlava a piazze vuote, non essendo ancora avvezze le donne del Sud a seguire i comizi in piazza, solo due anni prima, per la prima volta nella storia, avevano ottenuto il diritto al voto ed avevano partecipato al Referendum per la scelta tra Monarchia e Repubblica. Il 1959 è l’anno della svolta politica, la denuncia di Nikita Kruscev sui crimini commessi in Russia dallo degenerazione dello stalinismo, è uno shock per Miriam Mafai è «un evento che cambierà radicalmente il suo approccio nei confronti del partito che è stato certo, per lei un seconda famiglia» (p. 34) ma come in tutte le famiglie nascondeva l’esistenza di un segreto, di una macchia, di un peccato. Le denunce di Kruscev sono «una rivelazione addirittura devastante per chi aveva creduto, combattuto e rischiato la vita per certi ideali» (p. 35). L’Unione Sovietica descritta nei tanti comizi come una sorte di Paese ideale nel quale non esistevano miserie, disoccupazioni e disuguaglianze è un evento che incrina le tante certezze e le convinzioni in cui prima si era creduto, l’avvento dei carri armati a Budapest induce alcuni a non reggere alla delusione e ad uscire addirittura dal partito, così come farà lo stesso padre di Miriam, il suo disagio verso l’URSS è confermato da un suo viaggio a Mosca, quando si accorge che non può girare liberamente per la città o addirittura non può spedire lettere ai suoi figli. Lei stessa racconta che: «L’Urss non mi piacque: mi sentii a disagio per l’isolamento nel quale eravamo tenuti, per l’impossibilità di uscire da soli per strada, di fare una passeggiata e spedire una cartolina. Quando tornai a Pescara tirai un sospiro di sollievo» (p. 37). Il partito comunista ormai incominciava a starle stretto, quando ne uscirà scriverà: «Sono uscita da Botteghe oscure, ho abbandonato il mio ruolo di funzionario di partito senza traumi, senza rimpianti. Si chiudeva una fase della mia vita. Di questo avevo piena coscienza. Ma senza preoccupazione o nostalgia. Non avevo niente di cui pentirmi, e niente da rimpiangere (…) Avevo trent’anni e una gran voglia di cambiare» (p. 39). Questo perché non le piacevano «le lotte di potere, che spesso si verificavano nel suo partito, le strategie per la conquista delle poltrone e, in generale un certo modo di praticare la politica che ormai ha pervaso l’intero sistema dei partiti facendo smarrire loro i valori e le finalità più alte» (p. 40). Miriam Mafai si lascia alle spalle l’ideologia e intraprende una nuova strada quella della riflessione sulle vicende del mondo contemporaneo e intraprende da Parigi la carriera della giornalista, che le «consentiva di partecipare allo stesso spettacolo ma in altra veste» (p. 43) .      

La Luberto, dell’attività giornalistica della Miriam Mafai, mette in luce i tanti temi e problemi che la stessa ha affrontato nei sui articoli, che erano delle vere e proprie battagli di una intera collettività che voleva il cambiamento e l’ammodernamento della società, quali furono le lotte per ottenere il divorzio, la difesa dei diritti civili, l’emancipazione femminile e la laicità dello Stato, che Miriam «promoveva e li poneva all’attenzione di un contesto sociale prima tiepido, poi sempre più partecipe» (p. 10). È nella carriera giornalistica che Miriam Mafai «sviluppa pienamente e liberamente la sua creatività» (p. 43), vivendo la nuova professione con la testa e con il cuore, questo perché a lei piaceva «andare a vedere, a parlare, andare a scoprire la realtà» (p. 44). Non rinunciava «al lavoro neppure per i propri figli» (p. 48) proprio come facevano i maschi, per cui era soddisfatta «di essere riuscita a varcare la soglia di un’attività tradizionalmente riservata agli uomini» (p. 50). Presso «l’Unità» ebbe l’incarico di cronista parlamentare ed è la prima donna in Italia a svolgere questo ruolo; presso «Paese Sera», svolge l’incarico di inviata e si reca in Libano occupandosi della questione israelo-palestinese; quando approda a «la Repubblica», diventa «una delle firme più rappresentative, originali e prestigiose» (p. 53) della testata, tanto che il direttore Eugenio Scalfari dichiarerà: «che l’unico vero uomo del giornale era Miriam, “per il carattere, perché è brava, scrive bene e in fretta e soprattutto perché ha un modo di trattare il prossimo da pari a pari con molta cordialità ma con distacco che hanno le grandi signore”» (p. 54).

La Mafai è stata un modello, per tutta la generazione di giornaliste che si sono susseguite a lei, «una professionista seria e appassionata, che vive il suo lavoro soprattutto come impegno civile e sociale […] Lontana da qualsiasi pregiudizio, diretta, capace di guardare la realtà con occhi limpidi e sinceri e di esprimere senza remore né timori la sua opinione, arguta e ironica, ha sempre unito una coerenza di fondo ad una grande libertà: è stata una donna, una politica, una giornalista che non ha mai smesso di credere nei suoi ideali […] La sua incrollabile fede nella persona, la sua instancabile lotta per l’affermazione dei diritti di tutti non sono venuti meno» (p. 11), la Mafai si è, per esempio, esposta «in prima linea per difendere i valori della pace, raccogliendo le firme contro la bomba atomica anche a costo di subire un ingiusto trattamento» (p. 16). Gli argomenti che affrontava nei suoi articoli giornalistici hanno riguardato il tema della libertà, della dignità della donna, quello della laicità, del divorzio, dell’aborto assistito, del testamento biologico, dell’eutanasia, dell’utilizzo delle cellule staminali, del rapporto tra i sessi, dell’assetto familiare e delle coppie di fatto, su ognuno di questi la Mafai prende posizione: «dice la sua, anzi scrive la propria opinione, senza remore, senza timori, rispettando solo la regola della correttezza, della verità e il lettore» (p. 56). Il giornalismo per Miriam Mafai «è un’arte laica, che non guarda in faccia a nessuno, che ha il culto della verità sempre e comunque» (p. 61), è stata una sostenitrice convinta del protagonismo femminile nella società italiana, ha creduto fortemente nella capacità e nell’affermazione sociale e professionale delle donne in un mondo ancora troppo maschile, «perché sosteneva che le donne possono fare tutto quello che fanno gli uomini. E anche qualcosa in più: i bambini» (p. 69), ecco perché apprezzava l’affermazione di Simone de Beauvoir: «Donna non si nasce, lo si diventa» (p, 69).

La scrittura, che la Luberto utilizza per la narrazione biografica degli eventi legati al racconto della vita della Mafai, è semplice, scorrevole e accattivante, ciò facilita la lettura, che prosegue sempre con un andamento tranquillo e avvolgente, tanto da coinvolgere il lettore nella cronaca degli eventi della protagonista.   

Castel Volturno 11.07.2020

 Alfonso Caprio             

0 Comments

No comments!

There are no comments yet, but you can be first to comment this article.

Leave reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *