Recensione del romanzo “LO SCIAMANO E I MISTERI DELLA MENTE” di Ercole Cacciapuoti.

(A cura di Matilde Maisto) Quando il neo scrittore Ercole Cacciapuoti e la sua gentile signora, mi hanno portato il libro da leggere è stata una piacevolissima sorpresa e ne sono rimasta molto colpita. Mi è sembrato un segno del destino poter leggere il romanzo in questo momento così particolare della mia vita. Abbiamo iniziato a parlare del più e del meno e sono rimasta molto sorpresa quanto Ercole mi ha precisato che gli argomenti che stavamo affrontando erano proprio quelli da lui segnalati nella sua opera prima.

Ma andiamo per gradi: innanzitutto vorrei precisare chi è Ercole Cacciapuoti. Nato a Caserta nel 1977, ha iniziato a lavorare nell’azienda agricola di famiglia dopo il conseguimento del diploma di Liceo Scientifico. Da sempre interessato agli aspetti misteriosi della vita, all’origine dell’uomo e dell’universo, è costantemente alla ricerca di nuove metodologie per far affiorare tutte le personali potenzialità. Egli, lungo il suo percorso di studio e di meditazione è stato animato dalla profonda consapevolezza che ci sia molto di più dietro l’apparenza della realtà. E’ una convinzione che condivido, specialmente da quando ho perso mio marito di cui sento e ne condivido la presenza in ogni angolo della casa.

Ercole, diverse volte è dovuto riemergere dal fondo della propria esistenza e ogni volta ha trovato nuove risposte alle sue infinite domande esistenziali. Indomito e ribelle, poco avvezzo ai dettami comuni, con la stesura di questo primo romanzo, pare aver trovato una temporanea quiete.

Per quanto riguarda “Lo Sciamano e i misteri della mente”, così come dice l’editore Alessando Zannini esso è molto più di un thriller, in realtà tra i suoi elementi non compaiono solo reati ambientali e crimini contro l’umanità, investigazioni e soluzione del caso, ma vengono anche ripercorse alcune delle pagine più obbrobriose della storia repubblicana italiana.

Lo stile dell’autore è scorrevole, molto semplice, misurato, alieno da ogni eccesso o ridondanza, ma si legge piacevolmente e la trama è accattivante.

Leggendo il libro di Ercole Cacciapuoti non posso fare a meno di pensare che la felicità è il risultato della nostra crescita e che quando smetteremo di identificarci con le nostre emozioni passeggere fatte di invidia, paura, gelosia, preoccupazioni di ogni genere, avremo la possibilità di avere accesso ai sentimenti più elevati e profondi come la pace, la gioia, l’amore, l’armonia e l’autenticità .

Ma fino a quando saremo immersi nel “corpo-dolore” ci sentiremo sempre inquieti, inappagati, insicuri, mancanti di “qualcosa” e sentiremo la vita “piena” di ostacoli.

Il vero problema da superare è la nostra abitudine all’infelicità che risiede nella mente!

Per questi motivi ed oggi ancora di più, è molto importante scegliere di intraprendere e praticare, con serietà e consapevolezza, un vero percorso spirituale serio ed equilibrato, per imparare a vivere, sempre più, nel nostro “corpo di Luce.

In questa dimensione interiore riusciremo a sentirci a nostro agio, e capaci di donare e creare, per noi e gli “altri”, un maggior benessere da condividere a tutti i livelli.

La nostra parte Divina è sempre pronta, a qualunque età e in tutte le situazioni, a guidarci per realizzare questo nobile scopo che è comune, per diritto di nascita, a tutta l’umanità: tocca a noi la scelta di perseguire questo cammino con convinzione, costanza e la giusta motivazione.

Più siamo lontani dal silenzio, più siamo vicini ai problemi.

Il silenzio non è l’assenza del rumore, ma l’assenza dei processi mentali.

Dentro di noi Dio è silenzioso: è l’unico silenzio di cui possiamo fare esperienza in ogni istante; è sempre disponibile, è la Pace. Il silenzio è più elevato della parola. “Il silenzio è la LINGUA di Dio. Tutto il resto sono CATTIVE TRADUZIONI”.

Inoltre il libro di Ercole Cacciapuoti mi ricorda, sotto determinati aspetti, il Siddharta di Herman Hesse. Siddharta è un giovane indiano, figlio di un bramino, inquieto e insoddisfatto della sua esistenza. Assieme a Govinda, amico di una vita, egli decide di abbandonare la casa paterna e di andare a vivere con i Samana, degli asceti che vivono con il minimo indispensabile e perseguono l’identificazione e l’empatia con le cose del mondo. I due trascorrono tre anni con i Samana, tra meditazione e privazioni fisiche estreme (il digiuno, il rifiuto dei vestiti), ma non raggiungono la rivelazione spirituale tanto attesa. Siddharta e Govinda decidono quindi di raggiungere la setta del Buddha Gotama, detto l’Illuminato, per giovarsi del suo esempio e dei suoi insegnamenti. Tuttavia, una volta arrivati al cospetto del maestro, Govinda decide di restare presso di lui, mentre Siddharta, non ancora soddisfatto del traguardo raggiunto, prosegue il suo cammino. Ciò a cui il protagonista mira è guadagnarsi la saggezza autonomamente, senza adeguarsi in maniera passiva agli insegnamenti, pur validi, di qualcun altro.

Dopo aver conosciuto un barcaiolo che lo aiuta a superare un fiume e gli predice che si incontreranno nuovamente, Siddharta giunge in città, dove conosce la bellissima cortigiana Kamala. Nonostante il giovane abbia sinora disprezzato le lusinghe materiali del corpo, egli cede ben presto al fascino di Kamala, che vuol fare di lui un uomo ricco e di successo. Per tale motivo, indirizza Siddharta dal mercante Kamaswami. L’atteggiamento pacato e sereno di Siddharta bilancia il burbero carattere del socio in affari, cosicché il protagonista, nel giro di pochi anni, trova il successo sia nel lavoro che nella sfera amorosa. Tuttavia, l’insoddisfazione latente non è sopita: Siddharta percepisce che la sua vita materiale non può mettere a tacere la ricerca assillante di una verità spirituale. Il tormento è tale che Siddharta pensa addirittura ad annegarsi nel fiume. Quando incontra l’amico Govinda, ormai monaco buddhista, capisce di dover abbandonare la vita di piaceri cui è abituato. Siddharta lascia così Kamala, che (a insaputa del protagonista) è incinta, e parte.

Siddharta si ferma presso il fiume, dove rivede dopo anni il barcaiolo che l’aveva aiutato tempo addietro. Si tratta del saggio Vasuveda, che gli insegna a comprendere lo spirito del fiume, concepito come un’entità vivente. In particolare, nel lavoro quotidiano con Vasuveda Siddharta apprende il ruolo fondamentale del silenzio, grazie a cui si possono ascoltare tutti gli insegnamenti delle voci e dei rumori della natura.

Anni dopo, Siddharta rivede Kamala, che, con il figlio avuto da lui, di nome anch’egli Siddharta, si sta recando al capezzale del Buddha Gotama e deve attraversare il fiume. Tuttavia la donna, convertitasi al buddhismo, viene morsa da un serpente e muore. Siddharta, riconosciuto il bambino come suo, lo prende con sé e lo alleva amorevolmente presso il fiume con Vasuveda. Il giovane Siddharta, però, non assomiglia al padre: è svogliato, indolente e scostante, e alla fine fugge via, proprio come aveva fatto il protagonista molti anni prima. Vasuveda, nonostante le insistenze di Siddharta, gli sconsiglia di andare in cerca del giovane, che deve trovare il proprio posto nel mondo. La sofferenza dell’abbandono si unisce allora  in Siddharta alla presa di coscienza del dolore che egli stesso ha provocato al padre bramino, quando ha abbandonato in giovane età la casa dei genitori.

La profonda riflessione che scaturisce da questo evento e la contemplazione del fiume permettono a Siddharta di raggiungere finalmente l’illuminazione, grazie alla quale egli comprende l’illusorietà del tempo e la grandiosa ciclità del tutto, in cui confluiscono le gioie e i dolori, le speranze e le sofferenze individuali. A questo punto, Vasuveda può separarsi dal suo allievo.

Ormai anziano e saggio, Siddharta rivede per l’ultima volta Govinda, che, senza inizialmente riconoscerlo, si reca ad ascoltare le parole del saggio traghettatore. Siddharta spiega al vecchio amico i fondamenti di ciò che ha scoperto: che non esiste alcuna dottrina definitiva, poiché nel mondo ogni affermazione “vera” è controbilanciata da un’altra altrettanto “vera”; che quindi la Natura è un ciclo ininterrotto di opposti complementari, che va amato ed ammirato nella sua completezza e totalità; che bisogna anzi identificarsi con l’ordine del mondo attorno a noi; che il tempo e il linguaggio non sono che gabbie illusorie per la nostra mente; che la vera saggezza non può che giungerci dalla nostra più profonda interiorità.

Govinda riconosce così l’illuminazione di Siddharta, il cui volto si apre in un raggiante sorriso di felicità.

Sono stata lunghissima in questa recensione e spero di non aver annoiato nessuno, ma devo assolutamente concludere con la frase dello scrittore brasiliano Paolo Choelo, citata nel libro: Se vuoi davvero qualcosa, allora l’intero universo cospirerà e ti aiuterà a raggiungerlo” – “In questo modo ognuno di noi crea il suo futuro”.

Complimenti Ercole, ad maiora!


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