Recensione di “Così parlò Bellavista” di Luciano De Crescenzo

Il Professor Bellavista, che è in realtà ingegnere, napoletano, dialoga con i suoi amici più cari su fatti ed idee mentre la Napoli verace scorre nei racconti e negli aneddoti di altri mille protagonisti che colorano e vivono la città.

Dice il professore che l’umanità si divide in quelli che si fanno la doccia e in quelli che si fanno il bagno.

Questo è uno degli argomenti del professor Bellavista: la divisione umana in due categorie. Coloro che hanno fretta e vogliono consumare poco, come i milanesi, che si fanno la doccia. Coloro che, invece, vogliono riflettere e pensare, in comodità e solitudine, prendendo tempo per se stessi, come i napoletani, che si fanno il bagno.

Il professor Bellavista ha per amici un gruppetto variegato di personaggi: Salvatore Coppola, vice sostituto portiere, Saverio, che sta sempre a disposizione, Luigino, bibliotecario e poeta, Il dottor Vittorio Palluotto, napoletano trasferitosi a Milano con i quali dialoga nei capitoli pari. Già, perché Così parlò Bellavista si divide in capitoli pari, riservati agli incontri del professore con i suoi amici, e in capitoli dispari, in cui si raccontano aneddoti e scenette di quotidiana ‘napoletanità’.
In questi racconti e aneddoti troviamo le storie più disparate: da Gennaro che dorme per anni nella Fiat millecento con i sedili bicolore del cavaliere Sgueglia, senza che questi se ne accorga; al tassista che chiede soldi per pagare la multa al suo passeggero, poiché questi gli aveva detto di ‘andare di fretta’; al servizio sveglia umana, retribuita, per il Baroncino De Filippis; allo strano modo di guadagnare soldi dei guagliune, frutto di ingegno e furbizia.

Così parlò Bellavista è un libro che vuol essere un inno a Napoli e alla bellezza della sua gente, senza distoglierla, però dallo stereotipo del napoletano esagerato, disoccupato eppure affaccendato in mille affari e mille lavori, per così dire, ‘creativi’ e inventati di sana pianta. Purtroppo il testo non fa altro che confermare ciò che l’italiano medio pensa su questa città ricca di personaggi atipici, che al di fuori del loro contesto sarebbero travolti da un’umanità con la quale il confronto sarebbe quasi impossibile: difatti si recita la solita filastrocca del divario incolmabile fra il napoletano, povero ma ricco di sentimenti ed idee, ed il resto del mondo.

La scrittura, nonostante qualche aneddoto che fa sorridere, rimane faticosa e poco interessante. L’opera prima di Luciano De Crescenzo è un libro che chiede molto di più di quanto non riesca a dare al lettore.

Il personaggio dell’ingegner Bellavista, chiamato professore proprio a segno di devozione da amici e conoscenti, vorrebbe essere un ponte fra il napoletano e il non napoletano, tentando di elargire massime ed erudire il mondo attraverso racconti sul vero significato dell’essere napoletani. Ma la dicotomia iniziale risulta comunque non sciolta ed evidenzia, ancora di più, un divario fra Napoli ed il mondo.

“Masaniello era più napoletano di me e di voi […] è quello che maggiormente incarnò lo spirito napoletano. E questo perché espresse le contraddizioni, l’istinto di amore, l’incapacità di esercitare il potere, la generosità e l’ignoranza del suo popolo.”

 

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