RESOCONTO DELLA SERATA DI LETTERATITUDINI DEL MESE DI OTTOBRE 2019

Cancello ed Arnone (Redazione) – Amici credetemi sulla parola, ieri sera (31 Ottobre 2019) Letteratitudini ha vissuto una serata ultra bella – dice la Maisto – e prosegue: Oratore eccellente, l’esimio avvocato Gaetano Iannotta, con un tema interessantissimo,”L’oratoria Forense in Italia tra Storia, Letteratura e Diritto”. Amici fantastici, un professore Raimondo in ottima forma. Molti i personaggi di rilievo come il colonnello Bernardo in servizio attivo presso l’A.M. di Caserta e presidente dell’associazione Lions di Caserta Reggia, la Pittrice Annamaria Zoppi, la Preside Angelina Lanna.

Queste solo alcune delle autorevoli personalità, ma naturalmente c’erano molte altre persone assolutamente importanti che con la loro presenza hanno reso la serata veramente unica.

 Personalmente ringrazio tutti per aver partecipato al nostro cenacolo, che con nostro grande orgoglio e soddisfazione si sta facendo conoscere ed apprezzare anche in ambienti al di fuori di Cancello ed Arnone.

L’incontro è iniziato con la presentazione, da parte del professore Raffaele Raimondo, del nuovo libro dell’avvocato Gaetano Iannotta “L’Oratore eloquente”, nella cui prefazione, scritta da Giacomo Giannoccaro, Avvocato dell’Ufficio Legale del Comune di Ravenna, leggiamo: Vi sono oratori perfetti, dalle qualità esteriori impeccabili parola facile, frasi sonanti ma che restano lontani dall’animo dell’uditorio. Si sente che non un pensiero, non una frase nasce da sé. Ma vi è l’altro, l’oratore eloquente al quale si è disposti a perdonare anche una frase mal riuscita purché l’avvolgente forza scatti ed infiammi. L’eloquenza non è nella perfezione o correttezza del mezzo onde si manifesta un pensiero, ma è nell’essenza del pensiero che si esprime non è forma, ma vampa interiore che si sprigiona. (Giovanni Porzio).

L’essenza dell’oratore eloquente, nell’opera di Gaetano Iannotta, – dice Giacomo Giannoccaro – rifugge da definizioni e da inquadramenti dogmatici, ma risuona dell’eco di antiche tradizioni trasmesse al lettore attraverso la lente dell’esperienza coltivata quotidianamente dall’Autore nei più elevati consessi forensi. Subito si impongono all’attenzione del lettore, in modo imperioso, i due interrogativi che lo accompagneranno fino alle ultime pagine: chi è l’Oratore Eloquente? E qual è il percorso che deve affrontare il giovane avvocato per diventare tale?…. Nel corso dell’esposizione in forma di dialogo con l’amico e letterato Michele Falcone, l’Autore offre al giovane avvocato, un quadro del patrimonio di conoscenze che l’aspirante oratore eloquente deve possedere. Punto di partenza della facondia, ossia la facilità nel parlare, sono la voce e la dizione; ma ciò non è sufficiente: se molti possono essere oratori, solo pochi possono aspirare ad essere oratori eloquenti….. Ci fermiamo qui, ma consigliamo a tutti di leggere il libro che è molto interessante.

Dopo questa prima fase dell’incontro, la parola è passata all’avvocato Gaetano Iannotta che ha elegantemente e con dovizia di particolari, relazionato su “L’Oratoria Forense in Italia tra storia, letteratura e diritto”.

A tal proposito ha iniziato precisando che la tradizione dell’oratoria forense, legata a una sofisticata casistica di regole e di consuetudini retoriche, costituisce notoriamente uno dei nodi centrali della cultura greco-latina: ogni studente di liceo si piega ancora oggi, magari recalcitrante, sulle pagine di Isocrate e di Demostene, di Cicerone e di Quintiliano, considerate esemplari di una lingua e di uno stile, oltreché di una paidéia, cioè di un’educazione alla cittadinanza. Anche chi poco o niente sa di retorica antica ha sentito parlare di una filippica quale sinonimo di veemente discorso contro qualcuno o qualcosa. Vale lo stesso per la letteratura italiana, in particolare per quella moderna? Si possono trovare nell’eloquenza del Foro esempi paragonabili, per efficacia e dignità retorica, ai fasti italiani dell’oratoria sacra e civile? La risposta a questa domanda non è difficile: la tradizione forense non annovera un Savonarola, un Segneri, un Bartoli, o, sul versante politico, un Bracciolini, un Bruni, un Guidiccioni, un Paruta, di là dalla grande diversità, negli antichi Stati italiani, delle procedure giudiziarie e dei codici. Tuttavia a livello della cultura popolare la fortuna dell’oratoria degli avvocati, soprattutto nei procedimenti penali, persiste sino al ventesimo secolo. Si prenda la pagina di un capolavoro civile mai dimenticato, Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi (1945), che bene illustra l’ingenua ammirazione dei semplici per la teatrale recitazione di un causidico di provincia:

“Il diritto, gli avvocati, le cause in tribunale lo [il giovane contadino Boccia] colmavano di estasi e di delizia. Sapeva a memoria i nomi di tutti gli avvocati della provincia, e brani delle loro cause più celebri; e in questo non era il solo, perché l’amore per l’oratoria forense è quaggiù abbastanza generale. Ma un fatto accaduto due o tre anni prima era diventato l’avvenimento più importante e beatificante della sua vita. Per qualche causetta di confini, una sezione distaccata di pretura aveva tenuto una udienza proprio qui a Grassano, e c’era venuto a parlare il più grande avvocato di Matera, il famoso avvocato Latronico. L’arringa di Latronico, Boccia la sapeva a mente intera: e non passava giorno che non la ripetesse accendendosi di ammirazione nei passi più emozionanti. – Lupi di Accettura, cani di San Mauro, corvi di Tricarico, volpi di Grottole e rospi di Garaguso! – aveva detto Latronico nella sua perorazione. A Boccia questo pareva il più alto volo dell’oratoria universale. – Rospi di Garaguso! – andava ripetendo con compunzione e con enfasi, secondo l’umore del giorno; – proprio così, rospi di Garaguso, perché stanno vicino all’acqua, sopra il pantano. Che discorso!”  (C. Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Torino, Einaudi, 1945, rist. Milano, Mondadori, 1960) .

Un altro documento, quasi contemporaneo, San Gennaro non dice mai no di Giuseppe Marotta (1948), piccolo diario dolceamaro sul Meridione del dopoguerra, testimonia l’ammirazione universale per l’avvocato di grido, sentimento che a Napoli è sempre stato comune a tutte le classi: «Fu dunque Ferdinando T. a dirmi: ‘Giovanni Porzio perora domani al processo per l’uccisione di ’OMpicciuso; vieni a sentirlo? È un dibattimento come non ne avevamo da anni, Porzio sarà stupendo’». Ecco un estratto minimo dall’arringa di quell’avvocato, anziano ma ancora sulla breccia, contemplato con un po’ di ironia da Marotta, che pur sa d’essere di fronte a un vero artista, erede d’una tradizione secolare: «Ah se era veemente Giovanni Porzio. Come gestiva, come si fletteva, come si inarcava, come puntava il dito sui giudici, come dirigeva e graduava il flusso della sua voce, come gridava: “Vendetta? Ma tutto è vendetta in questa vita!”» (78). Sono due esempi che riguardano un’Italia prossima eppure remota, e testimoniano una passione antica. Del resto, l’avvocato sin dall’età barocca venne spesso assimilato all’attore: un modo forse per nobilitare il secondo e mettere in dubbio la lucidità argomentativa del primo. Diffusissimo fuori d’Italia fu il detto, attribuito a Martin Lutero, sui «Juristen böse Christen» (giuristi cattivi cristiani), molto comune la satira nostrana dell’azzeccagarbugli: elementi che hanno contribuito da sempre ad assegnare uno statuto ambiguo alla figura del causidico, tra l’ammirazione e il timore, il rispetto e il dileggio.

Per la nostra ricognizione possiamo partire allora da un passo del cinquecentesco Francesco Sansovino, figlio del grande architetto e scultore Jacopo, che compilò nella prima età della Controriforma una serie di libretti paragonabili ai manuali che oggi spiegano, senza pretese, come si possa raggiungere il successo nelle professioni. Scrisse anche a proposito dell’avvocatura, consegnandoci tra  l’altro sotto il velo allegorico del sapiente precettore – una divertente satira del cattivo avvocato:

“ Hor giunto che tu sarai a Palazzo, saluta ciascuno che ti si para dinanzi, e con volto ridente, e con gravità inchinati al tribunale ove son i giudici, e famigliarmente parlando, e burlando con loro dimostra alle genti che sono all’intorno, che i giudici son teco intrinseci molto. Venuto poi alla Renga [arringa] habbia preparato tutte quelle formule usate, che tutto dì sono in bocca a Palazzo, come sarebbe a dire: ‘Signori se voi trovarete un altro caso come questo, fate che questo sia il secondo’, overamente: ‘El vuol struccolar cevolle [strofinarecipolle] ne gli occhi alla giustitia’, ‘Nasè questa signori, da che ve salla? [Annusate questa signori, di cosa sa?]’, ‘È tapina la vita mia’, ‘Latet anguis in herba’ e simili altre parole. Del rimanente non haver cura di quel che tu dica: ma favella a ventura. Grida più che tu puoi: suda, e scaldati assai: percioché quante goccie ti cascano dalla fronte, tanti scudi ti piovono in borsa, conciosia che gli ascoltanti, vedendo che tu difendi le cause di cuore, ti corrono a casa: e così procedendo entra a dir male della parte, o dell’avocato contrario, e cavata la causa fuor del suo termine, esclama, ridi, piagni, e finalmente impreca con tutti i modi, ch’i giudici facciano per te. Et se ti bisognasse rispondere all’aversario, di’ tutto il contrario e non fallirai di molto. Voglio poi che tu habbia alcuni tuoi partiali amici, clienti, e sollicitatori, i quali, fingendo di non ti conoscere se non per fama, si spargino tra le persone lodandoti sino alle stelle, e ti predichino per dotto, per fedele, per huomo liberale e giusto, e per misericordioso de’ poveri. Le qual cose se tu farai con altre insieme, ch’io ti dirò quando che sia, senz’alcun dubbio, diverrai sommo avocato.

Molti altri esempi potremmo elencare proprio per la curiosità di sapere quanto in un paese di affabulatori e concionatori come l’Italia ha pesato l’eloquenza degli avvocati. La prospettiva lunga adottata si spiega con la fortuna intermittente dell’oratoria forense: che se in alcune aree (a Venezia e a Napoli) vantò sempre esempi più o meno illustri, in altre conobbe lunghe parentesi, complice anche la forma non pubblica del processo. Eppure lentamente si formò una scuola di eloquenza destinata a produrre la figura del Principe del Foro, infine trionfante nelle aule giudiziarie dell’Italia unita. Uno dei temi affrontati riguarda l’eterna vicenda di conflitto e alleanza tra letterati e giuristi. L’avvocato di professione Carlo Goldoni si guadagnò il pane arringando sino ai suoi quarant’anni, tessendo successivamente nelle commedie l’elogio dell’avvocato veneziano che improvvisa in vernacolo. A Milano Giuseppe Parini cercò il consenso dei giuristi per l’approvazione di riforme che modificassero i codici, trovando uno specchio nella prosa dei Delitti e delle pene di Cesare Beccaria, in cui si celano anche paradossali arringhe, quale è la perorazione del ladro che sfida le leggi in nome dell’«indipendenza naturale». A Napoli Francesco Mario Pagano si propose di portare, come scrisse, «la fiaccola della filosofia per entro le tenebre del Foro» combattendo la pratica della tortura giudiziaria. La Toscana della Restaurazione vide un rilancio dell’eloquenza: vi si distinse Giovanni Carmignani, amico del Leopardi, già tragediografo e attore alfieriano; con lui siamo a un bivio tra le ragioni della persuasione ornata e la stretta logica dimostrativa, che cerca di sottrarsi all’alea della mozione degli affetti temendo la trappola del ‘libero convincimento del giudice’. In un modo o nell’altro, l’utopia secondo cui le contese giudiziarie possano risolversi con il semplice ausilio di costruzioni logiche pare destinata a cozzare con la realtà del processo: dove di sociologia del diritto spesso si tratta, la bilancia della giustizia essendo sottoposta alle più stravaganti oscillazioni. Qui la retorica affila le sue armi: a difesa di una verità che pretende obiettiva.

E concludiamo questo lungo articolo con una frase pronunciata dallo stesso avvocato Iannotta nel suo libro “L’eloquenza antica”: – Ed ora, dopo le fatiche del mio discorso, appropinquiamoci pure al tavolo imbandito per gustare le prelibatezze della cucina amorevolmente preparata dalla nostra adorata Tilde! –

Una conclusione gentilissima nei confronti della coordinatrice di Letteratitudini, Matilde Maisto, a cui ha donato due dei suoi preziosi libri: L’eloquenza antica e L’Oratore Eloquente.

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