Riflessione al Vangelo di domenica 24 Gennaio 2021 a cura di Don Franco Galeone

24 gennaio 2021/III Domenica del T.O. (B)

CONVERTITEVI E CREDETE AL VANGELO!

Prima lettura: Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta (Gio 3,1). Seconda lettura: Passa la scena di questo mondo (1Cor 7,29). Terza lettura: Convertitevi e credete al Vangelo (Mc 1,14).

1) Dopo il battesimo nel Giordano, Gesù si reca in Galilea, dove

annuncia il Vangelo di Dio. Quattro sono i temi del suo annuncio: due

riguardano la proposta del Signore (il tempo è compiuto, il regno è già in mezzo a noi), e due riguardano la risposta degli uomini (convertitevi, credete al Vangelo). Quel regno di Dio, che i profeti avevano annunciato, ora è tra noi; è finito il tempo dell’attesa, inizia quello della realizzazione. Nessuno può più ignorare gli inviti alla conversione, che partono già dall’Antico Testamento (I lettura). Si tratta di appelli urgenti, perché il tempo che ci resta si è fatto breve (II lettura).

Prima lettura: il simpatico Ionàh

2) Ci troviamo a Ierushalàim, nel IV sec. a.C. e gli ebrei ricordano con vendetta le deportazioni degli assiri, la distruzione di Ierushalàim, l’esilio babilonese … Quando arriva il tempo della ricostruzione, prevalgono i gruppi integralisti, fondamentalisti, farisaici; sono preoccupati della purezza della razza, della limpieza de sangre, interpretano l’elezione del popolo non come un servizio ma come un privilegio. È in questo ambiente che vive l’autore anonimo del Libro di Ionàh, un rabbino intelligente, un fine umorista: sorride del fanatismo dei suoi connazionali perché ha capito che Dio è “misericordioso, pietoso, lento all’ira, ricco di grazia e di fedeltà” (Es 34,6). Non fa ragionamenti come i filosofi ma inventa un midràsh, il cui personaggio è Ionàh (יוֹ נָ֤ה), che significa colomba e nella Bibbia rappresenta Israele (Os 7,11).

3) Il Libro, molto breve, conta solo 48 versi, meno di 1400 parole, ma contiene tutto quanto è indispensabile alla narrazione, che si sviluppa in modo perfetto. Il Libro è talmente famoso da non aver bisogno di molte spiegazioni. Si tratta di un gioiello letterario in prosa. Il Libro di Ionàh è stato inserito tra i cosiddetti profeti minori; si tratta di una sorta di racconto esemplare come quelli di Tobia e Giuditta. Si pensa che sia stato scritto molto tempo dopo l’epoca a cui si riferisce, in ambiente post-esilico. Non è un Libro profetico, pur avendo come protagonista un profeta. È una parabola, un libro sapienziale perciò, un midràsh, una favola se si vuole, con finalità morale e teologica. Della fiaba ha tutti gli elementi tipici, non è un racconto per i bambini, ma per gli adulti,

perché si convertano e conoscano il vero volto di Dio.

4) Sappiamo poco di Ionàh: non era celebre, non prese parte a nessun evento del popolo ebraico. Ionàh è un profeta minore: diverte più che disturbare, fa sorridere i suoi lettori più che farli piangere. Quando sentiamo il suo nome, la nostra mente comincia a pensare alla balena, alla tempesta del mare, ai niniviti con la loro allettante vita notturna e la loro corrotta vita diurna; ci aspettiamo a ogni momento che Dio mandi fuoco e zolfo sulla città del vizio. Eppure, leggendo la sua storia, siamo tutti invitati a pensare più profondamente.

5) Strano personaggio! Il suo fascicolo biografico è molto misero: solo il suo nome e quello di suo padre: יוֹ נָ֤ה בֶן־אֲמִתַּ י, Ionàh figlio di Amittài e nient’altro. Dove abita? È sposato? Chi sono i suoi amici, i suoi maestri? Impossibile accertarlo. Cosa faceva prima dell’avvenimento e cosa ne fu di lui dopo? Nessuno ce lo dice. Senza Ninive e i suoi peccatori, Ionàh non avrebbe avuto posto nella storia sacra ebraica – e neppure la balena!

6) Nel cap. 4 c’è forse la rappresentazione più viva della grettezza del profeta. Essa si ripete ancora infinite volte nell’animo di molti credenti chiusi. Ionàh è il patrono dei fanatici di tutti i tempi: וַּ ירֵַּּ֥ע וַּ ירֵַּּ֥ע אֶל־יוֹ נָ֖ה ר עָ֣ה גְדוֹ לָ֑ה וַּיִָ֖חַּר לֽוֹ : Ciò dispiacque molto a Ionàh, che si irritò (Gio 4,1). Dio pone una domanda che conclude il libro e che è rivolta anche a noi: Il Signore gli rispose: “Tu ti dai pena per quella pianta di ricino, per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è seccata, e io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di 120 mila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra?” (Gio 4,10). Quali sono gli insegnamenti?

Israèl non è eletto per la distruzione dei popoli, ma per la loro salvezza; Israèl faceva fatica a capire che tutti i popoli, non solo sono sotto il dominio sovrano di Dio, ma sono anche creature del suo amore. L’unica cosa che avrebbe dovuto fare Dio, secondo Ionàh e gli ebrei, era quella di distruggere tutti i popoli per far regnare Israèl.

Il richiamo al pentimento: a differenza della mitologia greca, l’ebraismo rifiuta il concetto di fatalismo. Il male può essere fermato. Meglio: può essere trasformato, scegliendo il pentimento. È

sufficiente che l’uomo dica a se stesso: “Basta: devo cambiare prima che sia troppo tardi!”. Non si può modificare il passato, ma ci è dato il potere di plasmare il futuro. Come Dio ha il potere di cominciare, così l’uomo ha il potere di ri-cominciare da capo; la teshuvàh è sempre possibile a

tutti: l’uomo può sconfiggere il fato ed esaltare la libertà. il Libro si chiude con una domanda: il lettore dovrà rispondere. Davvero originale! Pochi libri terminano con una domanda!

Il breve ma intenso Vangelo di Marco

7) A partire da questa domenica ascolteremo, durante la messa, il Vangelo di Marco; per questo cerchiamo di presentare, in rapida sintesi, le caratteristiche maggiori di questo evangelista. Il Vangelo di Marco fu il primo ad essere composto, intorno al 70 d.C.; amico, segretario, compagno di Pietro, Marco è uno scrittore semplice ed elementare; le frasi sono brevi e collegate con una “e” paratattica, ma vivaci e pittoresche: il suo è il Vangelo più breve: appena 11.229 parole greche, rispetto alle 19.404 di Luca e le 18.278 di Matteo; perciò Agostino lo chiama “il divino abbreviatore”. Brevità e semplicità, ma con un progetto teologico: usando un’immagine, dalla oscurità alla luce, possiamo dire che Marco ci conduce prima sulla soglia di una basilica in cui si intravede alla lontana il volto di Gesù nell’abside; poi, avanzando sempre più, quel volto diventa più chiaro: nei capitoli 1-8, Gesù raccomanda il silenzio sulla sua persona (il segreto messianico);

nei capitoli 8-15 inizia la rivelazione, che culmina nella confessione di Pietro: “Tu sei il messia”; dal capitolo 15 in poi abbiamo la rivelazione conclusiva: “Veramente quest’uomo è Figlio di Dio”.

Gesù è uno che ama “stare con”

8) Nel vangelo di Marco è raro trovare Gesù da solo; è sempre in compagnia, e non sempre in buona compagnia! Su 671 versetti – tanti costituiscono il suo vangelo – ben 498, cioè il 76%, descrivono Gesù insieme a … Gesù con … Ecco l’immagine preferita da Marco, a insegnare che la sua presenza è continua, reale, invisibile. Il Vangelo di Marco descrive Gesù in movimento: nella prima parte, questo movimento avviene in Galilea, attorno al lago e nei villaggi; qui avviene anche la chiamata dei primi quattro discepoli. Un racconto semplice, senza notazioni psicologiche; lo schema è lineare: chiamata – risposta:

Passando lungo il mare, Gesù dice …

È il momento della chiamata: da parte di Gesù c’è uno sguardo: “vide” = è osservare con intenzionalità, come Davide che lungo il fiume cerca la pietra adatta per la sua fionda; e c’è un invito: nel mondo antico, i discepoli sceglievano il maestro; qui è Gesù che chiama, gratuitamente; non è il discepolo che cattura il maestro, ma Gesù attira a sé il discepolo; se io mi decido per lui, è perché Cristo mi ha già lanciato un invito. La “sequela” – cosa che consiste nel seguire Gesù e questa non si apprende nei libri o ascoltando i teologi esperti. Si conosce Gesù vivendo con lui e come lui è vissuto. Non si tratta di una conoscenza intellettuale ma di un’esperienza esistenziale, come

suggerisce il verbo ebraico ידע 

E subito, lasciate le reti, lo seguirono!

È il momento della risposta: da parte del discepolo fiducia subito (εὐθὺς/euthùs), abbandono a Dio, che non presenta subito la lista delle sue esigenze, ma comanda solo “Venite”; le spiegazioni verranno

dopo; c’è il distacco dalle reti, dal mestiere, dalla famiglia. L’accento non va posto sul lasciare ma sul seguire. Il discepolo non è uno che ha abbandonato, perso, fallito … ma uno che ha trovato Qualcuno. La  perdita viene assorbita dal guadagno. Il discepolo deve lasciarsi fare: “Io vi farò diventare pescatori di uomini”; il primo mestiere, pescatori di pesci, lo sanno bene; il secondo lo impareranno alla scuola di Gesù.

Gettavano le reti … riassettavano le reti

Significativi questi particolari. Dio appare all’interno della nostra cronaca, del nostro lavoro quotidiano. Come dire: la fede nel regno si costruisce all’interno dei rapporti umani; il suo vero luogo teologico è il vivere normale; la fede non crea necessariamente spazi sacri accanto alla vita, ma è dentro; la fede ripudia l’oggettivazione, l’identificazione, il recinto; è un messaggio che passa dentro i vari messaggi.

La sequela non è un privilegio ma una progetto

9) Dai vangeli risulta che il discepolo e l’apostolo di Gesù hanno lo stesso punto di partenza: la “sequela” di Gesù. Secondo i vangeli, per essere apostolo o discepolo di Gesù la prima cosa da fare è organizzare la propria vita come “sequela di Gesù”. Purtroppo, questa “sequela” viene spesso confusa con la “vocazione sacerdotale o religiosa”. Per molti cristiani, i seguaci di Gesù sono quelli che entrano in seminario o in noviziato. Bisogna stare attenti a un altro errore: presentare la sequela come privilegio distintivo degli “eletti”, come se nella chiesa ci fosse una categoria speciale di “scelti”, gli “eletti”, chiamati alla “vita perfetta”. Tale linguaggio ha prodotto orgoglio o vanità. Nei vangeli il verbo “seguire” si riferisce 17 volte ai “discepoli” e 25 volte al “popolo”. È stupefacente, per esempio, che il Discorso della Montagna (nella redazione di Matteo) inizi e termini dicendo che Gesù parlò a quelli che “lo seguivano” (Mt 4,25 e 8,1). L’elemento decisivo è

orientare le nostre vite alla luce del Vangelo. È stata una disgrazia per la chiesa che questo progetto universale di Gesù sia stato monopolizzato come privilegio di chierici e religiosi in sacris.

Tali persone vanno lodate, ma non sono “gli unici” che seguono Gesù. La “sequela di Cristo” è “progetto di vita” per tutti i veri credenti. Ognuno al suo posto, nel suo lavoro, nella sua professione. Ma è cosa di tutti e per tutti. Buona vita!

A cura del Gruppo biblico השּׁרשים הקּדשים Le Sante Radici

Per contatti: francescogaeone@libero.it

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