Riflessione al vangelo di domenica 6 Settembre a cura di Don Franco Galeone

6 settembre 2020XXIII Domenica (T.O.)

AMARE IL FRATELLO PRIMA DI CORREGGERLO

gruppo biblico ebraico-cristiano השרשים  הקדושים

francescogaleone@libero.it

Prima lettura: Se tu non parli all’empio, della sua morte chiederò conto a te (Ez 33,7).

Seconda lettura: Pieno compimento della legge è l’amore (Rm 13,8). Terza lettura:

Ammonisci tuo fratello tra te e lui solo (Mt 18,15).

La domenica “della correzione fraterna”

1) Nel Vangelo di due settimane fa abbiamo ascoltato come Gesù fonda la Chiesa e l’affida a Pietro. Nel Vangelo di questa settimana, Gesù ci mostra la sua Chiesa all’opera. Ma nulla di trionfale! Certo, la Chiesa diventerà un grande albero, ma l’inizio è quello del seme, del lievito, del granello di senapa. L’insegnamento di Gesù è un invito alla moderazione nell’uso di certe regole di disciplina comunitaria. La condanna ufficiale del fratello è possibile solo quando egli persevera nel male e rifiuta ogni correzione (v. 17). Noi siamo corrivi a chiamare gli altri “peccatori”; Gesù ci dice invece: “fratello che commette una colpa”. Gesù vuole che chiunque vede un fratello che pecca, lo avvicini a tu per tu (v. 15); se ci riesce, è una vittoria, perché lo scopo è sempre quello di salvare.

La correzione dev’essere “fraterna”

2) Il Vangelo colpisce subito per il suo realismo. Per esempio, quando Gesù parla di preghiera, non disquisisce sulla definizione di preghiera, ma dice semplicemente: “Dove due o tre si ritrovano nel mio nome…”. Parlando dei rapporti umani e sociali, non tira in ballo i parallelismi convergenti dei nostri politici, o le fasce strutturali dei nostri sindacalisti, ma dice semplicemente: “Se tuo fratello ha mancato contro di te, va’ e cerca di correggerlo tra te e lui”. L’episodio raccontato ha per protagonista un “fratello” che commette un peccato. Gesù dice di non mettere subito di mezzo la Chiesa ufficiale, di non far intervenire subito i sacri tribunali dell’Inquisizione, di non procedere secondo il Codice penale. Che un altro “fratello” corregga il peccatore, e il peccato resti segreto! Ma se il peccatore non dà retta? Allora lo si corregga alla presenza di qualche altra persona. Se si ostina ancora, venga rimproverato davanti all’assemblea; se neanche questo rimprovero è efficace, allora lo si escluda dalla comunità, sia scomunicato. Per sempre? No, se si pente, va perdonato e riammesso, anche settanta volte sette. Gesù non vuole una Chiesa di eremiti, di solitari, di perfetti! La religione di Cristo è sociale, oltre che interiore! Notiamo infine il tono serio e sereno di questa Chiesa, che è madre e maestra insieme. Niente di legalitario, di curiale, di burocratico. Meno ancora l’ombra del boia, i bagliori del rogo, le torture dell’inquisizione. Se questi errori sono stati commessi, non è stato certo Gesù a consigliarli.

Chi non ama, non deve correggere!

3) L’esclusione dalla comunità: ecco la massima pena! Ma sempre per motivi di conversione e non di repressione! Quello che conta non è dimostrare il vero o il falso, ma recuperare il fratello. Per questo occorre molta discrezione. Invece noi, adottiamo una procedura diversa: se un fratello pecca, ne parliamo

immediatamente con tutti, addirittura amplificando i fatti. E quel fratello sovente è l’ultimo a sapere quanto si racconta alle sue spalle. Lo faceva già notare Pascal con una certa ironia: “Un principe potrà essere la favola di tutta l’Europa, e sarà l’unico a non saperne nulla. Nessuno parla di noi in nostra presenza come ne parla in nostra assenza. L’unione tra gli uomini è fondata su questo reciproco inganno, e poche amicizie durerebbero se ognuno sapesse quello che dice di lui l’amico in sua assenza. Sono più che certo che se tutti gli uomini sapessero quello che dicono gli uni degli altri, nel mondo non ci sarebbero quattro amici”.

4) Gesù parla di correzione “fraterna”, ossia si corregge perché si ama. Chi non ama, non deve correggere! A chi sostiene i “diritti della verità” va ricordato che la verità è un nome astratto, e che con il pretesto della verità abbiamo commesso tanti delitti contro l’uomo. Esistono solo i “diritti dell’uomo”, perché solo l’uomo è soggetto di diritti. Il peccato va sempre condannato, ma il peccatore merita sempre rispetto. A chi si difende con: “Io dico sempre la verità”, gli va aggiunto: “E sei un maleducato!”. A chi dice: “Io sono fatto così”, gli va aggiunto: “E sei fatto male!”, perché la verità non sempre va detta, e in ogni caso la verità va detta con carità. Non c’è da essere felici quando un nostro fratello ci lascia; non c’è da tenere il muso quando un nostro fratello ritorna nella comunità convertito. Siamo tutti felici dentro quando nessuno è infelice fuori!

5) Il problema posto in questo Vangelo è quello del perdono dei peccati. Il testo inizia presentando la situazione di chi pecca (Se tuo fratello pecca… Ἐὰν δὲ ἁμαρτήσῃ εἰς σὲ ὁ ἀδελφός σου/eàn dè amatrèse eìs sé ‘o adelphòs seu). Se capita che un altro ti offende, quale soluzione è possibile? Gesù è molto chiaro: se uno offende o danneggia un altro, c’è una sola soluzione: che si riconcilino tra di loro, cioè che si perdonino reciprocamente. Noi invece andiamo a confessare le nostre cose a un prete che ci ascolta, ci assolve, ci tranquillizza, ma non chiediamo perdono alla persona offesa. Strano davvero!

6) Il dato fondamentale è che il perdono reciproco tra gli uomini è anche perdono di Dio. Per questo il testo dice: “quello che legate sulla terra, resterà legato in cielo”. Anzi, Gesù aggiunge che “se due di voi si mettono d’accordo… Perché dove due o tre sono riuniti, lì sono io, in mezzo a loro”. Quello che unisce le persone, unisce con Dio. O in altre parole, “dove due persone si uniscono, Dio si unisce con loro”. “Ciò che legherai sulla terra…” va spiegato bene: tutto ciò che noi leghiamo con la nostra vendetta o sciogliamo con il nostro perdono, viene anche legato o sciolto in cielo. Dio è sovranamente libero, non è il notaio di nessun uomo e di nessuna chiesa! Non perché uno è messo fuori dalla chiesa è anche messo fuori dal paradiso. La scomunica dice solo che uno è fuori dalla chiesa, ma non che è destinato all’inferno. Tertulliano nel suo Apologeticum scrive alla fine: Cum damnamur a vobis, a Deo absolvimur. Il Paradiso ci riserva molte sorprese!!!

6) L’intervento dell’autorità ecclesiastica (prima il vescovo e, a partire dal secolo VIII, i presbiteri) è stato introdotto relativamente presto, già nel secolo III. Ma si è sempre ammesso il perdono, concesso tramite la benedizione di un laico, un’abitudine che è sopravvissuta con certezza fino al secolo XVI. Ignazio di Loyola nella sua Autobiografia racconta che in una situazione di difficoltà si confessò con un soldato. In ogni caso la confessione auricolare dettagliata dei peccati ad un prete non è documentata dogmaticamente. È stata una decisione disciplinare del concilio di Trento, durato ben 21 anni (1542-1563). Il prete non è un giudice, un incarico che mai Gesù ha concesso ai suoi apostoli. Egli è uno è uno che offre misericordia, non uno che distribuisce sentenze. Buona vita!

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