Riflessione sul Vangelo di Domenica 20 Marzo 2022 a cura di Don Franco Galeone.

III Domenica di Quaresima (C) – 20 marzo 2022

Dio non ci salva senza il nostro consenso!

Prima lettura: Io-Sono mi ha mandato a voi (Es 3,1). Seconda lettura: La vita del popolo con Mosè nel deserto è stata scritta per nostro ammaestramento (1Cor 10,1). Terza lettura: Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo! (Lc 13, 1).

Prima lettura

1) Israele ha conosciuto il suo Dio anzitutto come liberatore. Solo in seguito ha scoperto che egli è anche padre, madre, sposo, re, pastore, guida, alleato… La lettura racconta come è cominciata questa rivelazione del Signore al suo popolo. Mosè è nel deserto del Sinai. Si trova lì perché alcuni anni prima ha combinato un guaio serio: ha visto un uomo del suo popolo, un ebreo come lui, maltrattato da un sovrintendente egiziano, è intervenuto in sua difesa e ha ucciso l’aggressore (Es 2,11). Ha un temperamento impulsivo Mosè, non sopporta prevaricazioni nei confronti dei più deboli. Lo dimostra anche nel deserto dove è fuggito. Un giorno è seduto presso un pozzo, giungono delle ragazze per abbeverare il gregge e alcuni pastori le scacciano. Non tollera il sopruso, balza in piedi, scaccia quei pastori e aiuta le pastorelle ad abbeverare il bestiame (Es 2,16). La prudenza e l’esperienza, a un certo punto, gli suggeriscono di non immischiarsi nelle faccende degli altri. È doloroso assistere impotenti alle ingiustizie commesse contro i deboli, ma che fare? Meglio lasciare perdere! Mosè si rifugia presso Ietro, ne sposa la figlia e inizia una vita povera, ma tranquilla. Ogni giorno esce per condurre al pascolo il gregge del suocero e desidera solo di essere lasciato in pace. Ma potrà uno come lui dimenticare i fratelli ebrei schiavi in Egitto? Dio, che conosce i suoi sentimenti, un giorno decide di rivelargli il suo progetto: vuole liberare il suo popolo dalla schiavitù. Mosè sta pascolando il gregge del suocero presso il monte Chòrev, quando all’improvviso vede un roveto che brucia senza consumarsi. Si avvicina e sente la voce di Dio che gli ordina di togliersi i calzari, e poi gli dice: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco le sue sofferenze e sono sceso per liberarlo» (vv. 7-8). Osserviamo:

> c’è un roveto che brucia senza consumarsi; il roveto ardente che non si consuma esprime molto bene la «fiamma di Dio» che arde interiormente e non dà tregua a Mosè. È la stessa di cui parla Geremia: «Nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,9). L’immagine del roveto potrebbe essere stata suggerita all’autore biblico dal dictamnus albus, un arbusto alto un metro, da cui defluiscono oli essenziali e che, nelle giornate molto calde, si incendiano;

> ci sono i sandali: essendo fatti con la pelle di un animale morto, sono impuri e non possono essere introdotti in un luogo santo; anche oggi devono essere tolti prima di entrare in una moschea.

2) Nella seconda parte della lettura (vv. 13-15) il Signore rivela il suo nome: «Io sono colui che sono: ה ֶ֑יְ ה ֶֽ א ר ֶׁ֣ שֲא ה ֶ֖יְ ה ֶֽ א» o meglio «Io sarò colui che sarò». Perché Dio vuole essere chiamato in un modo così strano? Che significa questo nome che ricorre ben 6.828 volte nella Bibbia? Vuole dire: vedrete chi sono io da ciò che farò. Che cosa vedranno gli israeliti? Non certo un Dio che se ne sta tranquillo in paradiso, impegnato a mantenere in ordine la contabilità dei peccati. Il Dio che si rivelerà a Israele sarà un Dio che vive con passione i problemi del suo popolo, che interviene per liberarlo. Notavano i rabbini: non sono gli israeliti che hanno gridato al Signore, ma che Egli ha osservato la miseria del suo popolo in Egitto e ha udito il suo grido.

Vangelo

3) Sui giornali leggiamo, ogni giorno, notizie di omicidi, incidenti, catastrofi… Nel Vangelo di oggi, Gesù accenna a due disgrazie che avevano in quel tempo provocato notevole scalpore. Le sue riflessioni sono molto diverse da quelle di certi predicatori, felici di poter sfruttare le tragedie per tuonare dal pulpito contro i peccatori. I responsabili, ci sono, e non vanno cercati troppo lontano; siamo noi, io, tu, tutti. Il Vangelo non è fatto per spaventarci. Quante volte, davanti a fatti tragici, ci siamo chiesti: “Perché proprio a loro?”. E siamo stati presi da sgomento! Ma anche il nostro, come quello dei galilei, è un falso interrogativo. Finché non guarderemo alla morte e alla vita con occhi nuovi, moriremo “tutti così”, assurdamente, come quei 18 sotto la torre di Siloe. Questa è la buona notizia: dare frutti finché siamo piantati nel terreno della vita, altrimenti che differenza c’è tra la vita e la morte, tra un fico sterile e un fico tagliato? La morte non ci potrà rapinare di nulla, se della nostra vita abbiamo fatto un dono a Dio e un servizio ai fratelli.

4) Gesù va al di là delle considerazioni facili sul destino, sulla punizione giusta o ingiusta, sulla fatalità cieca e così via. Il suo messaggio è personale: dalla storia si deve imparare una lezione di conversione. Non c’è spazio per il fatalismo, lo schematismo, il legalismo. “Convertirisi”: ecco la parola decisiva! Il cammino della conversione, a volte, può portare a scelte strazianti, perché da alcune situazioni è impossibile tornare indietro. È un cammino lungo, che strazia la carne, che esige rispetto. Gesù non ha permesso di tagliare una pianta a prima vista improduttiva. Un germe di vita nuova è sempre possibile!

5) Leggendo la cronaca nera, gli apostoli vedono nel massacro dei galilei e nello schiacciamento di 18 disgraziati un castigo di Dio. Una superstizione feroce, non ancora spenta, ha sempre suggerito agli uomini che Dio ricompensa i giusti e punisce i cattivi fin da quaggiù. Già. Prima gli apostoli, con crudeltà infantile, avevano chiesto a Gesù, vedendo quell’uomo cieco: “Chi ha peccato: questo cieco o i suoi genitori?” (Gv 9,1). E Gesù formula questa risposta liberatrice: “Né lui né i suoi genitori, ma questo avviene perché siano manifestate le opere di Dio” (Gv 9,3). Come dire che il male è un “mistero”, cioè una verità superiore. Il pagano sacralizza il male considerandolo come un effetto della volontà divina. Per il cristiano, invece, sacra è la compassione. Dio non manda la malattia, suscita il medico; Dio non scatena la guerra, ispira pensieri di pace; Dio non manda la morte, promette la vita eterna. Gesù ci insegna così a smettere di perseguitare i sofferenti. Finisca per sempre ogni caccia alle streghe! Sia un vergognoso ricordo del passato il Malleus maleficarum! Non dobbiamo gloriarci della nostra salute, come se fosse un segno di elezione divina, ma anche non dobbiamo avvilirci credendoci puniti, mentre siamo solo sventurati. È questa mentalità orgogliosa, farisaica, ipocrita, che Gesù vuole sradicare dalla radice.

6) Nella prima parte del brano (vv. 1-5) vengono riferiti due fatti di cronaca: un crimine commesso da Pilato e l’improvviso crollo di una torre presso la piscina di Siloe. Pilato non era un uomo dal cuore tenero. Gli storici tramandano vari episodi drammatici che lo hanno avuto come protagonista. Il Vangelo di oggi ne racconta uno. Alcuni pellegrini venuti dalla Galilea per offrire sacrifici nel tempio, probabilmente in occasione della Pasqua, vengono coinvolti in un fatto di sangue. È possibile che questi galilei, nazionalisti e un po’ fanatici, abbiano compiuto qualche gesto provocatorio. Pilato, che durante le grandi feste è solito trasferirsi da Cesarea a Gerusalemme, non tollera nessun disordine: fa intervenire i soldati che, senza alcun rispetto per il luogo santo, massacrano i malcapitati galilei. Un gesto brutale e sacrilego verso il tempio.

7) Perché il Signore non ha incenerito i responsabili di quel crimine? I farisei hanno una loro risposta: se Dio ha voluto che quei galilei fossero colpiti dalla spada, significa che erano carichi di peccati. Qualcuno va a riferire a Gesù l’accaduto. Forse pensa di strappare dalla sua bocca un giudizio di condanna, una presa di posizione antiromana. Qualcuno pensa di coinvolgerlo in una rivolta armata. Di fronte a un simile crimine non può certo esortare alla pazienza e al perdono! Gesù non si lascia sfuggire parole incontrollate. Anzitutto esclude che ci sia alcuna relazione fra la morte di queste persone e le colpe da loro commesse; poi rivolge un richiamo alla conversione. Per chiarire meglio il suo pensiero ricorda un altro fatto di cronaca: la morte di 18 persone, provocata dal crollo di una torre, durante la costruzione di un acquedotto presso la piscina di Siloe. Queste persone – dice Gesù – non sono state punite a causa delle loro colpe: sono morte per una fatalità, al loro posto potevano essercene altre. Anche quest’avvenimento deve essere letto come un richiamo alla conversione.

8) Qualcuno crede che il ricorso alla violenza possa essere un modo efficace, rapido e sicuro per ristabilire la giustizia. È la peggiore delle illusioni! L’uso della forza non risolve i problemi, ne crea soltanto di nuovi e più gravi. Gesù non si pronuncia direttamente sul crimine commesso da Pilato. Egli non è certo insensibile alle sofferenze e alle disgrazie, tuttavia sa che il desiderio di vendetta non serve a nulla, anzi, è controproducente. I giudei coltivano sentimenti di violenza, di vendetta, di rancore contro i romani. Purtroppo, non sono disposti alla conversione e così, quarant’anni più tardi, periranno tutti (colpevoli e innocenti) in un nuovo massacro. Gesù propone una soluzione diversa. Invita a intervenire alla radice del male. È illusione credere che possa cambiare qualcosa semplicemente sostituendo il padrone. Se il nuovo arrivato non ha un cuore nuovo, tutto rimane come prima. Sarebbe come cambiare gli attori di uno spettacolo senza modificare il testo che devono recitare. Ecco perché Gesù invita alla conversione, propone un cambiamento di mentalità. Questa è la sua soluzione definitiva!

9) Quanto tempo si ha a disposizione per operare questo cambiamento di mentalità? A questa domanda Gesù risponde nella seconda parte del Vangelo di oggi (vv. 6-9) con la parabola del fico. Il messaggio della parabola è chiaro: Dio non vuole pratiche esteriori, non si accontenta di apparenze (in primavera, il fico dà frutti, prima ancora delle foglie), ma cerca opere di bene. A differenza degli altri evangelisti che parlano di un fico sterile che è fatto seccare all’istante (Mc 11,12; Mt 21,18), Luca, l’evangelista della misericordia, introduce un altro anno di attesa, prima del taglio definitivo. Egli presenta un Dio paziente con la debolezza umana. La parabola è un invito a considerare la Quaresima come una nuovo “anno prezioso” che viene concesso al fico (a ogni uomo) per dare frutti. BUONA VITA!

השּׁרשים הקּדשים Le Sante Radici

Per contatti: francescogaleone@libero.it

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