Riflessioni sul Vangelo di domenica 29 Marzo 2020 a cura di Don Franco Galeone

29 marzo 2020  –  V Domenica di Quaresima (A)

IO SONO LA RESURREZIONE E LA VITA!

gruppo biblico ebraico-cristiano השרשים  הקדושים

francescogaleone@libero.it                                                            

1) La risurrezione di Lazzaro è l’ultimo e il più grande “segno” operato da Gesù prima della sua morte, e costituisce anche il motivo immediato della sua condanna. Molti temi si intrecciano in questo racconto: l’amore di Gesù a Lazzaro e alle sorelle, il presentimento della sua prossima fine, l’autorivelazione di Gesù come risurrezione e vita. Possiamo dividere l’episodio in tre grandi scene: a) quando è lontano, all’annuncio della malattia, Gesù afferma che questo è per la gloria di Dio (vv. 1-16); b) l’incontro con Marta e Maria è tutto centrato sulla fede e la speranza  nella risurrezione che è Cristo stesso (vv. 17-32); c) nella risurrezione di Lazzaro, infine, troviamo la frase che riassume il vero significato di vita eterna: “Se credi, vedrai la gloria di Dio” (vv. 33-45). L’importanza del miracolo sta soprattutto nel suo valore di segno: la vita restituita a Lazzaro indica un’altra vita, quella che viene data a chi crede. Il punto centrale è quindi il colloquio tra Marta e Gesù (vv. 20-27); in esso emergono due concezioni diverse della vita eterna: a) quella comune, che colloca la vita eterna “alla fine” dei tempi, dopo la risurrezione finale; b) quella di Gesù, che la colloca “adesso”: Gesù realizza adesso ciò che Marta attende alla fine dei tempi. Con questa domenica si chiude la catechesi battesimale così densa di insegnamenti: Cristo è “l’acqua” per la nostra sete (Vangelo della samaritana); Cristo è “la luce” per le nostre oscurità (Vangelo del cieco guarito); Cristo è “la vita eterna” contro la morte.

2) Il tema centrale di questo racconto è la vita. Meglio: il trionfo della vita sulla morte, come conseguenza di un affetto intenso. Gesù ama tanto Marta, Maria e Lazzaro, che non sopporta il loro dolore. E si emoziona e piange. La lezione è chiara: Gesù è stato un essere umano, così profondamente buono, fedele all’amicizia, che non ha potuto sopportare la sofferenza dei suoi amici. Nei vangeli, la sensibilità di Gesù è espressa con il verbo  ἐσπλαγχνίσθη (esplaghnisthe), il cui significato si comprende tenendo conto che questo verbo si costruisce a partire dal sostantivo σπλáγχνον (splaghnon), che la plurale indica gli organi interni, le viscere dell’uomo e dell’animale. I traduttori tra­ducono questo verbo con avere misericordia, compassione, pietà, dispiacersi… Tutto ciò è vero, ma solo in parte: σπλαγχνίζομαι (splaghnizomai) significa letteralmente sentire muoversi le proprie viscere. Corrisponde all’ebraico רֶחֶם utero, al plurale רַחֲמִים misericordia, tenerezza, commozione. Esprime, pertanto, una reazione viscerale. Per questo, ha restituito la vita a Lazzaro. Parliamo della “vita” senza aggettivi. Le religioni non hanno smesso di aggiungere aggettivi alla vita: “soprannaturale”, “divina”, “religiosa”, “consacrata”, “spirituale”, “eterna”… Le teologie hanno dato così grande importanza agli aggettivi che, per esempio, in nome della vita “eterna” hanno tolto la vita a molta gente. Questo hanno fatto tutti i “religiosi” fanatici. Ci può essere una negazione più brutale di Dio?

3) Il lucido pazzo, il genio delirante F. Nietzsche ha scritto in La gaia scienza che “Dio è morto”. Di certo ignorava questa stupenda pagina di un Dio vivo e vivificante, amico dell’uomo. Sul silenzio di Dio, la sua assenza, la sua morte … molto si è scritto; è nata anche una teologia della “morte di Dio”. Di fronte a questi silenzi, siamo tentati di giudicare Dio. Dobbiamo imparare a decifrare questo silenzio: è solo silenzio, non è assenza! Marta con quella sua frase: “Se tu fossi stato qui” ci provoca a questa difficile speranza! Ma questi momenti di disperazione possono diventare anche momenti di speranza. Dio, in tante tragedie, non si fa sentire, semplicemente perché è coinvolto pienamente con l’uomo. Dio sembra assente, in realtà si identifica con chi soffre: “Ero malato e mi avete visitato” (Mt 25,36). Ci può aiutare, nella solitudine dello spirito, questa bella pagina tratta dal libro Il profeta, dello scrittore libanese Gibran: “Allora Almitra parlò dicendo: Dicci qualcosa sulla morte. Ed egli disse: Il segreto della morte … ma come scoprirlo se non cercando nel cuore della vita? Giacché la morte e la vita sono una cosa sola, come il fiume e il mare. E come il seme sogna sepolto nella neve, così il vostro cuore sogna la primavera. Fidatevi dei sogni, perché in loro è nascosta la porta dell’eterno”.

4) Se noi proviamo pietà davanti a un morto e non davanti a un emarginato, allora la nostra commozione non è “cristiana”. Gesù non si è commosso solo davanti alla morte; la sua pietà ha avvolto tutti i sofferenti; attorno a Lui si aggirano malati nel corpo e nello spirito. E ogni sofferenza ha la forma di un sepolcro, davanti al quale non ci è lecito cantare il nostro bel gregoriano, se non dopo avere lottato contro ogni forma di sofferenza. Gesù non è stato un grande consolatore filosofico, il nuovo Socrate che invita ad accettare stoicamente la morte. Tutti i filosofi hanno detto che la vita è una preparazione alla morte, e molti cristiani lo hanno anche ripetuto. Ma Gesù non è venuto a raccomandarci l’accettazione della morte: è venuto ad insegnarci l’amore per la vita, a donarci la vita eterna. Se noi restiamo nel perimetro della saggezza umana, dobbiamo solo accettare la “filosofia del perimetro”; si vive fino a tanto e basta! Accettare la vita come un dato biologico, significa considerare la morte come qualcosa di naturale, voluta da Dio. In realtà, la morte non è una necessità, c’è ma poteva non esserci, non entrava nell’iniziale progetto di Dio, essa è entrata perché gli uomini hanno rifiutato la vita.

5) Anche se Dio ha in Cristo un volto d’uomo, permane sempre il mistero della trascendenza e diversità divina. Dio è “totaliter Alius”’. Come parlare di Dio? E chi potrebbe comprenderlo? Di fronte a Lui siamo come quel bambino davanti all’immensità sconfinata del mare: attingeva acqua, ed era come se non avesse preso nulla: versava acqua sulla sabbia, e la vedeva infiltrarsi e scomparire. Forse, per conoscere l’oceano, la cosa migliore sarebbe spingersi al largo, fino a immergersi in esso. Duc in altum! Gli uomini di preghiera sono i migliori teologi. Solo Dio può degnamente parlare di Dio. Hanno ragione i sostenitori della teologia negativa. Può sembrare un indulgere alla irrazionalità, e invece è un tributo di adorazione a Colui che non conosciamo: “Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere” (L. Wittgenstein). Non si deve parlare di Dio, come di una inutile chiacchiera, come di un oggetto mentale (Credere Deum). A Dio si parla, meglio, Dio si ascolta, a Dio ci si affida, come ad una persona amica (Credere Deo)! Ridurre Dio ad un oggetto di discorso, significa scivolare nell’idolatria e nella mistificazione. Maria, salus populi, ci protegga da ogni male! Buona vita a tutti!

 

In questi giorni di sofferenza, silenzio, paura, vi invito a pregare il salmo 90. Può aiutarci a resettare la nostra vita, a fare le scelte giuste, a riscoprire le piccole gioie, a pregare in maniera diversa…

Signore, tu sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione.
Ai tuoi occhi, mille anni sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte.
Li annienti: li sommergi nel sonno; sono come l’erba che germoglia al mattino:
al mattino fiorisce, germoglia, alla sera è falciata e dissecca.
Perché siamo distrutti dalla tua ira, siamo atterriti dal tuo furore?
Tutti i nostri giorni svaniscono per la tua ira, finiamo i nostri anni come un soffio.
Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti,
ma quasi tutti sono fatica, dolore; passano presto e noi ci dileguiamo.
Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore.
Volgiti, Signore; fino a quando? Muoviti a pietà dei tuoi servi!
Sia su di noi la bontà del Signore, nostro Dio!

 

 

 

 

 

 

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