Siamo indietro – Sul Coronavirus, dal Post

Come Unione Europea, siamo piuttosto indietro rispetto agli Stati Uniti e al Regno Unito nella somministrazione dei vaccini contro il coronavirus. In mancanza di una marcata accelerazione nelle campagne vaccinali, difficilmente riusciremo a colmare il distacco in tempi brevi.

Secondo le analisi più condivise, il ritardo europeo è derivato soprattutto da lunghi processi decisionali dovuti alla necessità di mettere d’accordo i governi di 27 paesi, in modo da avere un unico sistema di prenotazione e acquisto dei vaccini con a capo la Commissione Europea. Ciò ha permesso di evitare che i paesi più piccoli e con minore potere contrattuale rimanessero senza vaccini, subendo la concorrenza dei più grandi e attrezzati, e al tempo stesso ha consentito di ottenere prezzi più bassi, sacrificando però la velocità di azione.

Negli Stati Uniti quasi il 14 per cento della popolazione ha già ricevuto almeno una dose dei vaccini contro il coronavirus, nel Regno Unito il 28 per cento. I principali paesi europei seguono con un notevole distacco: la Spagna è al 4,7 per cento, la Germania al 4,5 per cento, l’Italia al 4,3 per cento e la Francia al 4 per cento. 

Già all’inizio della pandemia gli Stati Uniti avevano coinvolto alcune grandi aziende farmaceutiche per capire modalità e tempi per lo sviluppo dei vaccini e per comprendere quali politiche e programmi di finanziamento adottare per accorciare i tempi. Erano state coinvolte anche aziende europee, suscitando qualche preoccupazione tra le istituzioni europee: il timore era che la politica di finanziamenti e prenotazioni molto aggressiva degli Stati Uniti potesse dirottare risorse, lasciando l’Europa indietro nelle strategie per contenere la pandemia.

L’azienda tedesca di biotecnologie BioNTech aveva annunciato una collaborazione con la statunitense Pfizer, una delle più grandi aziende farmaceutiche al mondo, segnando un ulteriore sbilanciamento verso gli Stati Uniti in quella che all’epoca veniva definita la “corsa al vaccino”.

A metà maggio dello scorso anno l’approccio del governo degli Stati Uniti sui vaccini divenne ancora più evidente: finanziare pesantemente le aziende interessate, accelerare il più possibile lo sviluppo e la produzione dei vaccini, senza pensare troppo alle possibili implicazioni e conseguenze soprattutto nel caso di qualche fallimento. Nell’Unione Europea intanto le cose procedevano a rilento, in parte a causa della burocrazia e di alcuni regolamenti.

Temendo ulteriori ritardi, Francia e Germania iniziarono a valutare di agire per conto proprio, coinvolgendo poi Italia e Paesi Bassi in una sorta di alleanza per ottenere i vaccini. A giugno annunciarono un accordo, piuttosto vago, con AstraZeneca per la fornitura di 300-400 milioni di dosi di vaccino. La Commissione intervenne nei giorni seguenti per evitare che alcuni dei più grandi e ricchi paesi dell’Unione facessero per conto proprio: presentò una soluzione per accorciare i tempi e una riorganizzazione della Direzione generale per la salute e la sicurezza alimentare (DG SANTE), offrendo ai membri dell’alleanza un posto ciascuno nel gruppo di lavoro incaricato di condurre le contrattazioni.

Dopo settimane di incertezze, le aziende farmaceutiche che attendevano di confrontarsi con le autorità europee compresero che avrebbero dovuto condurre trattative in maniera centralizzata, con minori possibilità di sapere che cosa ci fosse nei contratti delle loro concorrenti. 

Come raccontiamo più estesamente in questa ricostruzione, le trattative permisero di ottenere forniture a prezzi più vantaggiosi rispetto ad altri paesi, ma andarono per le lunghe sul punto delle responsabilità legali, dove gli Stati Uniti avevano tagliato corto assumendosi qualche rischio in più. Il gruppo di lavoro europeo voleva ottenere una gamma di vaccini piuttosto ampia, in modo da non essere vincolati a un singolo produttore, e avere prezzi bassi e vincoli di responsabilità per le aziende farmaceutiche nel caso in cui qualcosa fosse andato storto. Diversi produttori volevano esattamente il contrario.

BIELEFELD, GERMANY – FEBRUARY 08: A pharmacist takes a vaccine dose against COVID-19 out of a fridge at a just-opened vaccine center during the second wave of the coronavirus pandemic on February 08, 2021 in Bielefeld, Germany. The 53 vaccine centers across North Rhine-Westphalia are opening their doors today to administer vaccines, mostly for people over 80 years old. Germany has experienced a hampered vaccine rollout due to production setbacks for all three of the vaccine so far approved in the European Union. (Photo by Thomas F. Starke/Getty Images)

Europa e passaporto d’immunità
A proposito di Unione Europea, ieri i leader dei 27 stati membri si sono riuniti in videoconferenza per discutere di pandemia. Il confronto ha interessato soprattutto i vaccini e la necessità di accelerare la distribuzione delle dosi, anche se non è ancora bene chiaro come, ma si è anche parlato della possibilità di introdurre un “passaporto di immunità” europeo, per semplificare gli spostamenti anche in vista della prossima stagione estiva e della necessità di tutelare il turismo (risorsa economica importante per diversi stati membri). 

Non sono state ancora assunte decisioni definitive, ma l’indirizzo è di realizzare un sistema che consenta ai vaccinati, o a chi sia risultato di recente negativo a un test, di viaggiare con minori limitazioni. Non è un’idea molto diversa da quella che sta cercando di applicare Israele, ma come vi avevamo raccontato qualche giorno fa il tema dei “passaporti di immunità” è ancora molto discusso non solo per le difficoltà pratiche, ma anche per i dubbi sulla tutela della privacy e dei dati sanitari di milioni di persone.
 

La settimana
Da metà gennaio alla scorsa settimana avevamo assistito a una relativa stabilità nell’andamento dei nuovi casi positivi, ma negli ultimi sette giorni le cose sono cambiate e si è rilevato un aumento dei contagi. Dal 19 al 25 febbraio sono stati rilevati 103.023 casi positivi, il 25,6 per cento in più rispetto alla settimana precedente. La causa potrebbe essere la progressiva diffusione della “variante inglese”, che rende più contagioso il coronavirus, e su cui l’Istituto Superiore di Sanità sta facendo nuove rilevazioni e analisi.

I decessi, che come sappiamo hanno un andamento di circa un paio di settimane in ritardo rispetto ai nuovi casi positivi, continuano invece a diminuire: negli ultimi sette giorni sono stati 2.083, il 3,5 per cento in meno rispetto alla settimana precedente. Il numero dei decessi sarà uno dei dati più importanti da tenere d’occhio nelle prossime settimane, anche per capire gli effetti della campagna vaccinale, con la somministrazione alle persone con più di 80 anni.

La crescita dei casi in molte regioni si può notare anche dal grafico che mostra l’andamento nelle ultime settimane: si vede un netto aumento dei contagi in Lombardia e in Emilia-Romagna, mentre in molte regioni del Sud c’è una fase di stabilità, se non un calo, come in Sardegna.

Al momento molte regioni hanno un tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva superiore alla soglia di allerta del 30 per cento. In Umbria si conferma una percentuale molto alta, 54,6 per cento, come nelle ultime settimane. Superano il 30 per cento anche Abruzzo, Marche, Molise, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, provincia autonoma di Trento, provincia autonoma di Bolzano. 

Qui trovate tutti gli altri dati, compresi quelli sulla zona in cui vivete.

E i vaccini?
Negli ultimi giorni l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha iniziato a diffondere le prime valutazioni sull’efficacia della campagna vaccinale contro il coronavirus in Italia. Non è stato ancora pubblicato uno studio approfondito, come in altri paesi, ma sono disponibili alcune considerazioni basate sulla correlazione tra i ritmi di somministrazione e l’andamento dei contagi rilevati nelle prime categorie vaccinate, cioè gli operatori sanitari e le persone con più di 80 anni. 

Nelle ultime due settimane, l’incidenza dei contagi tra le persone anziane è diminuita. L’ISS ha spiegato che il calo è dovuto all’inizio della campagna vaccinale. Ma per avere la certezza che questi andamenti siano dovuti agli effetti del vaccino serviranno studi più approfonditi, perché i dati analizzati hanno molti limiti.

San Marino ha iniziato la sua campagna vaccinale: con il vaccino russo Sputnik V 👀

Poco AstraZeneca
In molte regioni italiane la somministrazione del vaccino di AstraZeneca è in ritardo. Le consegne sono iniziate il 9 febbraio, quasi tre settimane fa, ma al momento le regioni hanno utilizzato solo una minima parte delle dosi. Secondo gli ultimi aggiornamenti, sono state somministrate 200.508 dosi del vaccino AstraZeneca, il 19,1 per cento sul totale di un milione e 48mila dosi consegnate finora. La lentezza è dovuta soprattutto alla scarsa organizzazione delle Regioni e alla priorità data all’inizio della fase 2, che coinvolge le persone con più 80 anni a cui non viene somministrato il vaccino di AstraZeneca.

Intanto, questa settimana il ministero della Salute ha pubblicato una circolare che autorizza la somministrazione del vaccino di AstraZeneca alle persone fino a 65 anni: finora era consigliata soltanto fino ai 55 anni. L’estensione è stata decisa «sulla base di nuove evidenze scientifiche che riportano stime di efficacia del vaccino superiori a quelle precedentemente riportate».

Rinforzata
Da domani a Bologna e in tutti i comuni della città metropolitana saranno in vigore le regole della cosiddetta “area arancione rinforzata” (o “arancione scuro”). Nei giorni scorsi già alcuni comuni dell’area metropolitana erano stati inseriti in questa area di rischio insieme ad altri comuni della provincia di Ravenna. Sempre da domani, in Toscana le province di Siena e Pistoia saranno area rossa, quella dove sono in vigore le maggiori restrizioni. 

Decreti
Per rendere concrete e operative le leggi approvate nell’ultimo anno e mezzo dal governo guidato da Giuseppe Conte, sarebbero serviti 792 decreti attuativi: al momento ne sono stati adottati solo 253 (il 32 per cento del totale), mentre 539 dovranno essere gestiti dal nuovo governo guidato da Mario Draghi. Un’analisi ha valutato il lascito legislativo del governo Conte, compresi i ritardi relativi ai provvedimenti approvati per contrastare gli effetti della pandemia da coronavirus. C’è molto da lavorare.

Perché il logo di Pfizer è cambiato 🎨

Allenarsi in una palestra all’aperto (AP Photo/Lee Jin-man)

Due cose dal mondo
🇯🇵 In Giappone nel 2020 le morti non sono aumentate, nonostante il coronavirus, dicono i dati ufficiali: le restrizioni hanno contribuito a prevenire le malattie respiratorie, rischiose per una popolazione con un’alta percentuale di anziani.
🇭🇺 L’Ungheria ha iniziato a somministrare il vaccino cinese Sinopharm, il primo paese dell’Unione Europea a farlo.

…e una terza
Nell’ultima settimana in tre paesi dell’America Latina – Perù, Argentina e Cile – sono emersi grandi scandali sulle rispettive campagne vaccinali contro il coronavirus. Inchieste giornalistiche hanno raccontato come in tutti e tre i paesi siano state vaccinate segretamente persone che non appartenevano alle categorie considerate prioritarie o più vulnerabili. Ci sono un vacunagate in Perù e uno in Cile, e un vacunatorio VIP in Argentina. Confusi? No hay problema.

Moda
Martedì è iniziata la Settimana della moda di Milano, in cui le più importanti aziende di moda italiane, ma non solo, presentano le collezioni da donna per l’autunno/inverno 2021. Durerà fino al primo marzo e prevede 61 sfilate, tutte in streaming e senza pubblico o quasi, 57 presentazioni, tra cui 15 fisiche e 42 digitali, e 6 eventi, per un totale di 124 appuntamenti. È la terza Settimana della moda milanese a svolgersi durante la pandemia e la seconda interamente virtuale: in Lombardia infatti si iniziò a parlare di coronavirus esattamente un anno fa, mentre le sfilate erano in corso.

Città
La possibilità e più spesso la necessità di lavorare da casa, unite al divieto di trascorrere del tempo insieme ad altre persone nei locali e negli spazi pubblici, hanno apparentemente indebolito il legame tra le città più ricche e popolose e i loro abitanti. Il dinamismo, la vivacità e l’abbondanza di stimoli culturali sono state per decenni parti consistenti ed essenziali del fascino di metropoli vissute e celebrate come New York, Los Angeles, Londra, Parigi o Tokyo, ma nel giro di un anno sono stati pesantemente condizionati e ridotti.

Il futuro delle città in cui negli ultimi quindici anni si è concentrata un’imponente crescita di occupazione legata all’innovazione tecnologica – oggi generalmente definite “città superstar” (superstar cities) – è da diversi mesi al centro delle attenzioni di studiosi di demografia, urbanistica e analisti del settore immobiliare, tendenzialmente d’accordo sulla lettura dei dati ma ancora molto prudenti e incerti sulle spiegazioni e soprattutto sulle ipotesi per il futuro. Abbiamo messo in ordine cosa se ne dice.

Per oggi ci fermiamo qui, ma vi lasciamo un bonus per trarre qualche ispirazione se siete in vena di un film per il weekend. A martedì, ciao!

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