Silvio Orlando in “Il Mercante di Venezia” – dall’11 al 16 novembre

“L’essenziale, riguardo a Shylock, non è che un eretico o un ebreo, ma che è un outsider.
La terribile, umiliante, meschina sconfitta di Shylock mi mette a disagio.
Annuncio fin d’ora che starò dalla sua parte”

dalle note di regia di Valerio Binasco

Dall’11 al 16 novembre 2014
IL MERCANTE DI VENEZIA
di William Shakespeare
con SILVIO ORLANDO
e la Popular Shakespeare Kompany

con (in o.a.)
Andrea Di Casa, Fabrizio Contri, Milvia Marigliano,
Simone Luglio, Elena Gigliotti, Elisabetta Mandalari, Nicola Pannelli, Fulvio Pepe, Sergio Romano,
Roberto Turchetta, Ivan Zerbinati

regia VALERIO BINASCO

Musiche originali Arturo Annecchino
Scene Carlo de Marino
Luci Pasquale Mari
Costumi Sandra Cardini
Regista assistente Nicoletta Robello

Produzione:
Veronica Mona con Oblomov Films S.r.l.
e Compagnia Enfi Teatro

In seguito al successo di Romeo e Giulietta (produzione Teatro Eliseo 2011, con Riccardo Scamarcio e Deniz Ozdogan), è nata una nuova compagnia, la Popular Shakespeare Kompany, che ha avuto il suo battesimo ufficiale con lo spettacolo la Tempesta all’interno del Festival Shakespeariano di Verona nel 2012. La compagnia si impegna ogni anno a mettere in scena un classico, con l’intento di continuare ad offrire al pubblico grandi testi, con modalità produttive nuove, che trasformino la crisi in occasione di rinnovamento e creatività.

Quest’anno, insieme a Silvio Orlando, la compagnia affronterà il Mercante di Venezia, una delle opere più note di Shakespeare. La storia è conosciuta: siamo a Venezia, è il XVI secolo. Bassanio, giovane gentiluomo veneziano, vorrebbe la mano di Porzia, ricca ereditiera di Belmonte. Per corteggiarla degnamente, chiede al suo carissimo amico Antonio, il mercante di Venezia,tremila ducati in prestito. Antonio non può prestargli il denaro poiché ha investito in traffici marittimi. Garantirà per lui presso Shylock, usuraio ebreo, che non sopporta lo stesso Antonio, poiché presta denaro gratuitamente, facendo abbassare il tasso d’interesse nella città. Nonostante ciò, Shylock accorda il prestito a Bassanio. L’ebreo però, in caso di mancato pagamento, vuole una libbra della carne di Antonio… richiesta che alla fine gli si rivolgerà contro.
Nella messa in scena di Valerio Binasco, però, si indaga profondamente nelle categorie di ‘bene’ e di ‘male’ fino a rimescolarle: fondamentale diventa allora lo scontro tra una moltitudine di uguali – i cristiani di Antonio -, e il singolo diverso – l’ebreo Shylock. Il male c’è, ma è il denaro in sé. “Nel Mercante, tutto gira intorno a un gruppo di amici”, spiega nelle note di regia Binasco: “Gli eroi di questa storia non sono degli eroi. Stanno in seconda e terza fila nella vita. Ma a hanno delle inquietudini. Una spinta che li porta al gesto rischioso. Tuttavia, il fatto che siano sempre avventure condivise con gli amici fa di loro degli eroi un po’ paesani, creatori di aneddoti più che di leggende. Il testo appare dunque come “una cupa contro-favola”, una storia che sembra una favola, ma che fa sorridere solo gli adulti, perché han perso ogni speranza. “Noi non dobbiamo cedere a questa tentazione.”, continua il regista: “Anzi: noi dobbiamo fare del mercante una grande favola, e una festa del teatro. Cioè della speranza.”. E queste sono le intenzioni.
Quanto alla questione dell’antisemitismo, classica accusa che vien mossa all’opera, con
Auden, Binasco ribadisce: “Nel mercante di Venezia le differenze religiose sono tratteggiate in modo fatuo: non è un problema di fede, ma di conformismo. L’essenziale, riguardo a Shylock, non è che è un eretico o un ebreo, ma che è un outsider”.
Il Mercante alla fine è una commedia. Tuttavia a leggerlo si prova anche un certo cupo disagio: “La terribile, umiliante, meschina sconfitta di Shylock”, ritorniamo a Binasco: “giusta o non giusta che sia, mi mette a disagio. Annuncio fin d’ora che starò dalla sua parte. Del resto, il bene e il male si spostano di continuo nel corso della pièce. Dipende dalle circostanze. Questa è una verità moderna e inattaccabile. La verità di una favola che rivela che non c’è nessuna verità. Eppure la vita può essere lo stesso una festa. Anche se il giorno stenta ad apparire. E non è notte né giorno. È l’ora stramba del teatro, quando sorge una luna di carta, e il vento accarezza le foglie senza fare alcun rumore. Niente ci ferisce. Nemmeno la vita. Non c’è nulla di più lieve, al mondo, del nostro essere qui. Insieme. Uguali”.

Con Silvio Orlando ritroviamo in scena attori che hanno partecipato alle regie shakespeariane di Binasco, come Andrea Di Casa, Fabrizio Contri, Milvia Marigliano, Nicola Pannelli. E poi: Fulvio Pepe, Simone Luglio, Elena Gigliotti, Roberto Turchetta, Ivan Zerbinati. Elisabetta Mandalari sarà nel ruolo di Porzia, Sergio Romano in quello di Lancillotto, Andrea di Casa di Bassanio, mentre Nerissa è interpretata da Milvia Marigliano, Antonio da Nicola Pannelli.

Info:
Teatro Bellini – Dall’11 al 16 novembre 2014
Orari spettacoli: feriali ore 21:00 – mercoledì e domenica ore 17.30
Prezzo biglietti: da euro 12,00 a 30,00

Pensieri su ‘IL MERCANTE DI VENEZIA’

Tutto gira intorno a un gruppo di amici. .
Gli eroi di questa storia non sono degli eroi. Stanno in seconda e terza fila nella vita. La guardano dal tavolino di un bar. In apparenza sono dei ricchi sfaccendati che si divertono molto ad essere ricchi e sfaccendati, ben identificati col loro ‘clan’ che è composto solo da ricchi e sfaccendati.
Ma è solo apparenza. A ben vedere hanno delle inquietudini. Delle malinconie. Hanno dentro una spinta che li porta al gesto rischioso, all’avventura. Il fatto che siano sempre avventure condivise con gli amici fa di loro degli eroi un po’ paesani, creatori di aneddoti più che di leggende. La legge della loro vita è fare della vita un gioco fatuo . Nel momento in cui tale legge è condivisa, diventa identificante. Al punto da perseguitare chi è diverso , come per es. Shylock, che con tutta la sua serietà antica sembra minacciare una società di fatui giocatori.
Detto così sembra semplice, eppure è tutto così inafferrabile , nel Mercante, così assurdo che si rischia di cedere alla tentazione di raccontarlo pesantemente, come una cupa controfavola. Cosa sono le controfavole? Sono storie che sembran favole, ma fan sorridere solo gli adulti, che sorridono perché han perso ogni speranza. Si sentono maestri della disperazione e dell’insensatezza. Noi non dobbiamo cedere a questa tentazione. Noi dobbiamo sforzarci di fare di questo Mercante una storia che possa essere capita e apprezzata anche dai bambini. Anzi: noi dobbiamo fare del mercante una grande favola , e una festa del teatro. Cioè della speranza.
A ben vedere le note del regista potrebbero limitarsi a questa intenzione.
Visto però che parliamo di adulti, veniamo al punto più serio della faccenda : si è parlato (e si è taciuto) molto dell’antisemitismo di questo testo. Arnold Wesker ha scritto parole piene di furia e di saggezza per sconsigliare chiunque dal mettere in scena il Mercante. Ho riflettuto a lungo sul suo scritto. Poi sono giunto a queste conclusioni:
Per quel che mi riguarda, è una storia sulla persecuzione della diversità.
Mi trovo dunque completamente d’accordo con Auden quando dice : ‘’ Nel mercante di Venezia le differenze religiose sono tratteggiate in modo fatuo: non è un problema di fede, ma di conformismo. L’essenziale, riguardo a Shylock, non è che un eretico o un ebreo, ma che è un outsider ‘’
Outsider, qui, vuol dire qualcosa di più di diverso. Vuol dire proprio straniero. Estraneo.
L’unico aspetto religioso presente nell’opera , secondo me, non riguarda i rapporti dell’individuo con l’aldilà, ma con l’aldiqua. Mi pare che l’Antico Testamento ispiri un modo antico di approcciare la vita . È solo questione di stile. Shylock ha uno stile antico. Ha uno stile ‘serio’, da antico testamento, appunto. I veneziani invece sono troppo frivoli; e Shylock è troppo serio. Ed è un outsider perché è l’unico personaggio serio del Mercante .
È una divertentissima commedia. Tuttavia , appena ci si imbatte nel Mercante di Venezia si prova – oltre alla gioia di leggerlo – anche un certo cupo disagio. La nostra immaginazione si affatica a trovare un filo coerente e rassicurante , e ci scopriamo a cercare di dare un’identità plausibile e credibile a quegli strani personaggi che stiamo incontrando. Cerchiamo di identificarci con qualcuno. Ma, devo essere sincero, con scarso successo. Il filo narrativo resta assai poco rassicurante, e i personaggi non smettono di inquietarci e di rimanere estranei. E tuttavia sentiamo che abbiamo a che fare con una grande opera, pena di vita . Decidere di portare in scena Il Mercante vuol dire decidere di fidarsi di quel vago e oscuro sentire, e seguirlo. Dove ci porterà, andremo. Il testo ci appare semplice e schematico come un’antica favola. Dovremo inoltrarci nelle molte zone oscure ( le antiche favole sono luminose e oscure insieme ) che risultano assai più chiare per il nostro istinto che non per la nostra capacità di comprendere. Nelle antiche favole tutto è ugualmente creato con il buio dell’inconscio simbolico, e con la luce delle cose e dei fatti reali. Le antiche favole sono di terra e di fuoco. Inoltre, nonostante tutto, le antiche favole sembrano tracciare una strada attraverso l’impossibile. Per noi uomini contemporanei le antiche favole sono una mappa celeste per trovare , ogni tanto, qualche stella nel buio dell’assurdo vivere. Ma , in questo senso, il Mercante sembra che ci spinga altrove. Verso uno stranio buio collettivo. Pur essendo in tutto e per tutto un’antica favola, non sembra tracciare alcuna strada. Il disagio che sentiamo forse è proprio questo : sentiamo che veniamo attratti dentro lo splendore di una favola arcaica piena di vibrazioni oniriche e di significati, ma dopo un po’ ci ritroviamo senza un senso profondo vero e proprio, e l’opera, coi suoi toni barocchi e festosi ,ci appare – soprattutto verso il finale – come la festa dell’insensatezza. A volta mi pare di capire il perché. E’ un perché sbagliato, di parte, lo so, ma lo scrivo lo stesso perché forse potrà generare qualche pensiero giusto, utile a comprendere. Ecco qui : perché il Mercante parla soprattutto -e con l’aggravante della fatuità- di denaro. Questo è il tema principale. E in questo nostro periodo storico non è più un argomento ‘normale’. Sentiamo che c’è qualcosa di abnorme e di vertiginoso – oggi – nel pensiero del denaro. E l’affaticarsi degli uomini contemporanei per accumulare, governare, amare e odiare, reinventare il denaro, sembra arrivato a un punto tragico. Cioè insensato e mostruoso. Dentro il Mercante c’è dunque un mostro. Ma non è Shylock. E’ il denaro. Qualcuno, leggo, è ancora convinto che ci siano dei temi religiosi nel Mercante. Non voglio essere così irriverente da dire che non ce ne sono, ma credo che siano molto meno importanti di quel che sembra. Dio mi pare molto estraneo a questa faccenda (ammesso che ce ne sia qualcuna in cui non lo sia.. ). Credo che sia un dramma di amici ‘cristiani’, che si oppongono a un estraneo ‘ebreo’. Tra i due clan scorgiamo una differenza , però. I ‘cristiani’ sono tanti, mentre il clan ‘ebraico’ è rappresentato da un solo individuo. Insomma , il primo è un clan reale, l’altro solo presunto. Quindi, a conti fatti, siamo davanti alla lotta di tutti contro uno. E poi di uno contro tutti. Il diverso contro gli uguali. Ormai siamo troppo abituati alle storie dove chi è solo contro tutti, dopo un po’ di peripezie e di dolori, vince. O vince davvero ( come Ulisse ) , o solo moralmente (come Cristo, e perfino King Kong ). È un’abitudine che ha modellato la nostra psicologia senza contrasto dai tempi dell’Odissea fino ai Western. La terribile, umiliante, meschina sconfitta di Shylock – giusta o non giusta che sia – mi mette a disagio. Annuncio fin d’ora che, se mai farò questo spettacolo, starò dalla sua parte.
Del resto, il bene e il male si spostano di continuo nel corso della piece. Ora Shylock è buono; ora è cattivo. Ora Antonio è il male; ora il bene. Una legge è ingiusta, e poi è giusta. Una musica brutta di giorno, diventa bella di notte. Dipende dalle circostanze. Questa è una verità moderna e inattaccabile. È la morale della favola. La sua verità. La verità di una favola che rivela che non c’è nessuna verità, da nessuna parte. Eppure la vita può essere lo stesso una festa. Anche se il giorno stenta ad apparire. E non è notte né giorno in questa fine di favola.
È l’ora stramba del teatro, quando sorge una luna di carta, e il vento accarezza le foglie senza fare alcun rumore. Niente ci ferisce. Nemmeno la vita. Non c’è nulla di più lieve, al mondo, del nostro essere qui.
Insieme. Uguali.

 

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