“STORIA DA SOTTOBOSCO” UNA BELLA FIABA DI CRISTINA BOVE

 Finiamola una buona volta di cominciare col c’era una volta e incipitiamo con :

Non c’era prima e non ce ne frega niente se non ci sarà poi, a noi interessa il momento, il qui e ora.

Si può anche pregare, volendo, ma sempre in tempo presente. E soltanto davanti a indiscussa divinità (pare facile!…).

Dunque, qui si sta nel sottoblosco, all’ombra di megasiti.

In questo contesto pullulante di spore c’è fermento.

Blogalmente ci siamo tutti, compresi licheni, muschi e saprofiti.

Salicornie silvicole (ahahah), flagellati (anche fossili), calzini appesi ad asciugare (lo so, non ci azzecca, ma non eccepite, per favore), in più qualche timidicola alla base di alberi tra-secolanti.

Lei, Cappuccina, vegeta sotto una vescia monumentale, appena un po’ a ridosso della stessa.

Ha lunghe trecce morbide (e adesso non ve ne uscite che le lattughe non hanno capelli), non mi va di dirvi come sono fatte, verdi però, ve lo assicuro. Come verde è del resto anche il resto (bisticcio voluto) ma lo sappiamo solo noi. I daltonici ignorano.

Oggi è giornata nera. Ha piovuto tutta la nottata e ancora piove.

Per la gente del sottoblosco è l’inizio della stagione invernale.

Mister Verzacolo, così chiamato per farlo rimare con vernacolo, un vecchio cavolo semilignificato, dimenticato dal popolo blogante, ha smesso di lanciare i suoi lazzi a tutto il vicinato, ha perfino sospeso il suo versare acido sui minimanimalisti sempre pronti a difendere lontre puzzole e altri mefitici animaletti zonali.

La Stellaria ha rinunciato all’aria e adesso scrive strambotti firmandosi Stell e basta. Con risultati scarsi, ma a lei non interessa, ama uno storno (che la tradisce ad ogni pié sospinto in cambio di uva passa e qualche grano di miglio) e per lui ha perfino concepito uno stornello.

Cappuccina osserva divertita da sotto il suo riparo, ma ahimè, la vescia si sta afflosciando e a lei urge una nuova sistemazione.

Decide infine di trasportarsi altrove. Sradica con fatica radice per radice, o è un fittone? boh, neanche lei se lo ricorda… insomma solleva la sottana, ehm, il sottofogliame e a piedi scalzi, si fa per dire, si dirige di corsa verso un bel fungo altero, cappello un poco a punta, picchiettato di giallo.

< Ehilà, signorina, che ci fai qui sotto?>

< Veramente cerco soltanto un po’ di riparo, non vedi come piove?>

< Sì che vedo, anzi sento, sono fradicio in ogni mia lamella.>

< Signor….>

< Miceto, ma per gli amici Mic>

< Mic, puoi ospitarmi per un po’ vicino al tuo gambo?>

< Russi la notte?>

< Ma quando mai! Le insalate non russano, tranne quelle russe.>

< Allora puoi rimanere.>

< Grazie, non sarà per molto, sono quasi arrivata>

< Certo che sei arrivata, stai qui!>

< Volevo dire appassita, sfatta.>

< A me non pare, anzi, mi sembri in ottima forma.>

< Tutta apparenza, credimi, faccio una gran fatica a tenermi intorno le foglie, neppure gli uccelli vengono più a liberarmi dai bruchi, e ormai non faccio altro che cantare con un po’ di malinconia le mie giornate di sottoblosco.>

< Capisco, ma qui ti puoi fermare a prender fiato. Potrei prestarti qualche ifa che mi ritrovo in più, magari ci stili un paio di verdiversi.>

< Molto gentile, Mic, penso proprio che accetterò il tuo dono. Grazie.>

< Di nulla, in cambio ti chiedo solo di scrivere qualcosina anche per me, basterà, che so, un tanka da sciarpalcollo, così da ripararmi un po’ dal freddo.>.

Intanto aveva smesso di piovere sulla bloghiera e presto anche nel blosco ci sarebbe stata una schiarita.

Ovunque c’era aria di fermento, le blogherie vendevano di tutto, fumetti, pipe, calumet, immagini della madonna e barzellette sconce, veri shopshow… ma anche serissimi neridicorvo, scritti alla rovescia, mangimi per allocchi (i gufi e le civette vanno all’estero), e poi si può trovare anche qualche sorpresa, a saperla cercare.

Cappuccina avrebbe voluto rimanere sotto il gentile Miceto, ormai tra loro si era stabilito un afflato da poeti (chésoloipoetihannol’afflato), per non dire di un sentimento di condivisione e anche qualcosa di più, ma capiva che sarebbe stato comunque per poco, lei era ormai appassita, e lui perdeva ife a tutto spiano.

Così progettò: avrebbe almeno ricambiato questo Mic che l’avava accolta con affetto, affetto magari no, i funghi hanno affezioni, mica amore, ma forse micamore, ed anche le lattughe mica si concedono tanto facilmente.

Pensò a lungo, intanto che l’orlo delle sue foglie si sfrangiava.

Prese quindi una decisione, si sarebbe lasciata languire ai suoi piedi, anzi al suo piede, e avrebbe nutrito dei suoi elementi il caro ospite.

Non ci fu verso né versi, per smuoverla da questa decisione, Mic non aveva mezzi per scalzarla e mandarla via.

Così lei si ridusse piano piano, le sue trecce sbiadirono e si arresero al cedimento, qualcuno dei siti altolocati osservava senza muovere un dito o un foglio o una foglia, avevano tutti la puzza sotto il naso, e benché lei avesse sempre emanato soltanto un lieve sentore d’erba fresca, voltavano il capo e facevano finta di non vederla.

Giunse così il momento, Mic era desolato, non sapeva più cosa fare per impedire la fine dell’amica.

Vennero a trovarla molti amici, fiori di campo sradicati, glicini senza rami, rose sfiorite, papaveri sornioni, gazzette ufficiali e subalterne, storni e galli da combattimento, bruchi diventati farfalle e insettistecchi.

Gli ultimi sguardi dalle rare spore rimaste, il fungo li dedicò a lei con una nenia che li accompagnava.

E quando fu sparita anche l’ultima traccia del suo verde sembiante di onesta e garbata insalatina, anche Mic si lasciò cadere lentamente sullo sfagno, e piano piano entrò con lei nel più profondo sottoblosco che finalmente li accolse entrambi.

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