STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA DEL 900’ – “LETTERATITUDINI” rende OMAGGIO ALLA GRANDE ELSA MORANTE

Elsa Morante: vita, opere e pensiero

Chi era Elsa Morante? Scopriamo tutto quello che c’è da sapere su vita, opere e pensiero di colei che è stata una delle più celebri e apprezzate scrittrici, saggiste e poetesse di tutta la letteratura italiana.

Elsa Morante, nata e morta a Roma, è stata una scrittrice, poetessa, saggista e traduttrice italiana considerata una delle narratrici più importanti del secondo dopoguerra. Suo è il titolo di prima donna a vincere il Premio Strega nel 1957 grazie al suo capolavoro “L’isola di Arturo”. Inoltre una delle sue opere, “La storia”, compare nella lista dei cento migliori libri di tutti i tempi stilata dal Club norvegese del libro nel 2002.

Cosa sappiamo noi oggi di Elsa Morante e cosa è rimasto del suo tormentato amore con un altro noto scrittore del panorama italiano, Alberto Moravia? Oggi studieremo insieme la biografia di Elsa Morante, elencheremo le sue opere di maggior rilievo e cercheremo di focalizzare il suo pensiero e tutto ciò che l’ha mossa e l’ha fatta diventare la celebre scrittrice che tutti noi conosciamo.

Elsa Morante: la vita

Elsa Morante è una delle più famose scrittrici italiane. Nata a Roma il 18 agosto 1912, la Morante è stata un’artista rilevantissima e tra le figure italiane più rappresentative nel secondo dopoguerra. A lei si legano altri celebri nomi della letteratura italiana a partire da Alberto Moravia, che ha sposato nel 1941. La loro storia d’amore è stata tra le più romanzate di sempre e indubbiamente travagliata. Elsa Morante è stata anche una grande amica di Pier Paolo Pasolini, che la stimava moltissimo.

 Nasce dall’unione naturale tra Irma Poggibonsi, maestra ebrea modenese, e Francesco Lo Monaco, impiegato delle poste. Prende il cognome Morante poiché, alla nascita, viene riconosciuta da Augusto Morante, marito della madre e sorvegliante di un istituto per correzione giovanile.

Trascorre i primi anni della sua vita nel quartiere Testaccio di Roma in compagnia dei suoi tre fratelli. Quanto amante sia della scrittura lo si capisce subito, sin dalla sua adolescenza, quando scrive fiabe e storie per bambini, poesie e racconti brevi. A partire dal 1933 fino all’inizio della guerra Elsa Morante, sotto consiglio del critico Francesco Bruno che in lei scorge talento, pubblica le sue opere su alcune riviste, testate e giornali.

Una giovane Elsa decide, dopo il liceo, di iscriversi alla facoltà di Lettere andando a vivere da sola, ma ben presto deve abbandonarla a causa dei problemi economici che matura. Dal 1935 la Morante si guadagna da vivere dando lezioni private di italiano e latino, redigendo tesi di laurea e collaborando con alcuni periodici. A partire dal 1939 Elsa Morante scrive sul settimanale Oggi anche sotto con più di uno pseudonimo, esperienza formativa e importante per lei.

L’incontro con Alberto Moravia, grande scrittore romano, risale al 1936. Il primo libro pubblicato da Elsa Morante è datato 1941; si tratta di una raccolta di storie giovanili e prende il nome di “Il gioco segreto”.
Nel 1942 Elsa dà corpo anche alla sua vecchia passione per la letteratura dedicata ai ragazzi pubblicando “Le bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina”, poi ribattezzato “Le straordinarie avventure di Caterina” nel 1959.

Il matrimonio con Alberto Moravia risale a cinque anni dopo il loro primo incontro, nel 1941 e in pieno periodo di guerra. Insieme al marito Elsa Morante avrà rapporti con i massimi artisti italiani della loro epoca, da Pier Paolo Pasolini a Umberto Saba passando per molti altri quali Enzo SicilianoGiorgio Bassano e Sandro Penna. Tra Elsa e Alberto ci saranno alti e bassi e una serie di incomprensioni che sfoceranno in svariate crisi, come spesso accade a molte coppie.

La loro vita prosegue relativamente tranquilla come può essere quella di due scrittori di spicco fino al 1943 quando, mentre lei è intenta a scrivere “Menzogna e sortilegio”, il marito viene accusato di antifascismo. Entrambi sono così costretti a recarsi sulle montagne di Fondi, in Ciociaria, per trovare rifugio. I due faranno ritorno a Roma solo nell’estate del 1944. Il rapporto tra i due, nel mentre, vive di tensioni costanti: lei, donna forte e indipendente, combatte tra la grande esigenza di autonomia e il bisogno di essere amata e protetta.

Altra grande diatriba della donna, trasportata poi anche all’interno del rapporto, è l’avere o meno figli; Elsa Morante rinuncia definitivamente all’idea di essere madre, dopo aver vissuto un forte contrasto con sé stessa, solo per poi rendersi conto in un secondo momento di rimpiangere la scelta amaramente.

“Menzogna e sortilegio” esce nel 1948 e non solo vince il Premio Viareggio, ma viene anche tradotto e distribuito negli Stati Uniti nel 1952 col titolo di “House of Liars”.
Già con questo primo romanzo la Morante porta alla luce tutte le sue qualità di incredibile scrittrice, anche se ancora costretta in alcuni schematismi narrativi che dimostrerà però di aver abbandonato totalmente nel 1957 con il suo pluripremiato “L’isola di Arturo” che le vale il titolo di prima donna a vincere il Premio Strega.

Negli anni ‘60 Elsa Moravia viene colpita da una crisi artistica molto forte che la porta a salvare pochissimo di ciò che scrive in questo periodo. Sono tante le pubblicazioni a cui rinuncia in questi anni. Il 1961 è anche l’anno che vede la separazione definitiva dal marito Alberto Moravia, dopo la quale frequenta una serie di uomini, tutti artisti o comunque legati al mondo dell’arte: Luchino Visconti, il pittore newyorkese Bill Morrow, il critico Cesare Garboli e l’attore Carlo Cecchi.

Nonostante la crisi, tra la fine degli anni ‘50 e la fine degli anni ‘60 la Morante pubblica alcune opere, sia in prosa che in poesia, e questo è anche un decennio in cui viaggia molto, dalla Russia alla Cina, dal Brasile all’India, venendo anche accompagnata da Moravia e da Pasolini in occasione del viaggio in India.
Nel 1962 Elsa Morante rimane scioccata dalla morte di Bill Morrow, precipitato da un grattacielo; questa brutta esperienza insieme alle difficoltà dell’età avanzata che cominciano a farsi sentire minano l’animo già fragile della scrittrice.
Nel 1974, tra varie polemiche sul taglio dell’opera, esce il romanzo “La storia”. Questo libro sancisce un gran successo popolare della scrittrice, che narra la vicenda universale di una Roma che attraversa la seconda guerra mondiale; il libro si sposta andando anche in trincea e ai reparti partigiani.

Il suo ultimo romanzo, “Aracoeli”, esce nel 1982, due anni dopo che la scrittrice si è fratturata un femore. La conseguenza è una lunga degenza, costretta a letto. La Morante subisce anche un intervento chirurgico in seguito al quale perde l’uso delle gambe e questo è, probabilmente, l’evento che la sconvolge definitivamente portandola a tentare il suicidio nel 1983 aprendo i rubinetti del gas. Solo l’intervento di una domestica la salverà.
Elsa Morante muore il 25 novembre 1985 d’infarto, dopo un ulteriore intervento di chirurgia, all’età di 73 anni. Pubblicate postume sono i suoi libri “Opere” e i “Racconti dimenticati”.

Le opere di Elsa Morante

Elsa Morante è stata molto prolifica durante la sua vita, pubblicando romanzi, poesie, racconti e raccolte senza dimenticare i suoi lavori di traduzione, i saggi e le lettere. Ecco di seguito le sue opere più importanti, tra romanzi, racconti e poesie:

Ecco la definizione di Elsa Morante per Benito Mussolini: “Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt’al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po’ ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della gente e causa del suo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano. Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole rappresentare”.

Il pensiero di Elsa Morante

Nelle opere, in particolar modo nei suoi quattro romanzi, è possibile scorgere il pensiero di Elsa Morante. In questi libri c’è il valore assoluto che, per la Morante, assume l’innocenza degli umili, opponendoli così alla forza del mondo moderno che incombe.

In particolare nella raccolta del 1968 “Il mondo salvato dai ragazzini”, la Morante rende note le basi del suo pensiero che vede scontrarsi nel mondo due categorie di esseri: gli Infelici Molti contro i Felici Pochi. Questi ultimi sono definiti come categoria privilegiata di portatori di bellezza, salvezza e scandalo.

La Morante, inoltre, inquadra il poeta come colui che deve combattere il nemico principale dell’uomo, l’irrealtà. Secondo l’autrice è l’irrealtà che porta alla vera morte e alla disintegrazione.

Elsa Morante aveva una personalità forte, definita, che al contempo era in grado di farle vedere in faccia la realtà senza filtri ma la faceva commuovere alla vista di un gattino. Elsa Morante ha avuto la capacità di guardare dritto negli occhi la miseria umana senza mai volgere lo sguardo altrove, pagando di persona in una vita che ha amato donando tutta sé stessa fino all’ultimo briciolo del suo animo.

Tra i suoi famosi romanzi quello che in questa sede ricordiamo è

L’ISOLA DI ARTURO

 Pubblicato da Einaudi nel 1957. Le vicende sono raccontate dal protagonista-narratore, Arturo, ormai adulto, che ripercorre in prima persona la sua infanzia e adolescenza; in tal senso l’opera si inserisce nel genere del “romanzo di formazione”, un tipo di narrazione (di grande successo e diffusione in Europa a partire dall’Ottocento) che percorre le tappe più significative della crescita e della maturazione di un adolescente verso l’età adulta. Il romanzo è ambientato a Procida, a partire dagli anni Trenta: il ragazzo, orfano di madre, vive sull’isola in quasi completa solitudine, dal momento che il padre, Wilhelm, indifferente al figlio, è sempre via per lunghi viaggi. Arturo vive così in un castello diroccato, che egli, con la sua fervida fantasia, proietta in una dimensione mitica e fiabesca; i suoi unici compagni sono Silvestro, suo amico, e la cagnolina. Arturo cresce nel ricordo della madre morta di parto e nell’ammirazione totalizzante per il padre, tanto da considerarlo un eroe che compie miracolose gesta nel corso delle sue frequenti assenze. Passa allora il suo tempo a progettare viaggi fantastici, come quelli del padre, e a leggere le storie sui condottieri del ciclo cavalleresco.

 Wilhelm, un giorno, porta a casa da uno dei suoi viaggi una giovane moglie, Nunziatella, una ragazza di sedici anni dei bassifondi di Napoli. In un primo momento Arturo si dimostra geloso della matrigna, dal momento che lo allontana dai rari momenti in cui il padre è presente e si mette in mezzo al rapporto tra i due. Tuttavia, dopo la nascita del fratellino, Carmine Arturo, il ragazzo si accorge che i suoi contrastanti sentimenti per Nunziatella sono dovuti al fatto di essere attratto dalla matrigna, sua coetanea. Cerca in tutti i modi di farsi notare, ma questa dimostra attenzioni solo verso il figlio appena nato: Arturo così finge il suicidio, assumendo delle pillole di sonnifero del padre. Nella convalescenza viene accudito da Nunziatella e Arturo dà sfogo ai propri sentimenti, baciando la ragazza per esserne poi rifiutato. Il ragazzo sfoga il suo amore non corrisposto con un’amica della matrigna, la giovane vedova Assunta, che inizia il ragazzo al sesso, anche se egli scoprirà in seguito di non essere l’unico a Procida a godere dei favori della donna. Contemporanemente, crollano anche le fanciullesche illusioni sulla figura di Wilhelm: Arturo scopre che l’uomo, che si è addirittura dimenticato del compleanno del figlio e si è allontanato nuovamente dall’isola, non compie affatto leggendarie imprese, ma più prosaicamente si reca a Napoli, e che ha pure intrecciato una relazione omosessuale con un uomo.

Deluso e scosso, Arturo decide di partire da Procida, abbandonando l’Eden della sua infanzia: si arruola volontario, con l’amico Silvestro, come volontario nella seconda guerra mondiale, abbandonando per sempre l’isola, le persone della sua infanzia e il suo passato. Scriverà le sue memorie da un campo di prigionia in Africa.

L’intero romanzo sviluppa il tema principale della crescita e della formazione: il protagonista si evolve e cresce e attraverso le deludenti esperienze comprende di non vivere nella realtà immaginaria creata dalla sua fantasia, ma in un duro mondo fatto di illusioni e delusioni. A questo tema si aggiungono altri temi secondari, come quello della solitudine e della gelosia, che sono i modi in cui si realizzano i rapporti interpersonali tra Arturo e gli altri personaggi. Altro tema è il rapporto padre-figlio, fatto in questo caso di incomprensioni e indifferenza. A questo si collega il tema dell’omosessualità, quando viene rivelata quella del padre nella conclusione del libro.

 Ed ora una bellissima poesia di Elsa Morante:

 Alibi (1946)

Solo chi ama conosce. Povero chi non ama!
Come a sguardi inconsacrati le ostie sante,
comuni e spoglie sono per lui le mille vite.
Solo a chi ama il Diverso accende i suoi splendori
e gli si apre la casa dei due misteri:
il mistero doloroso e il mistero gaudioso.

.         Io t’amo. Beato l’istante
.         che mi sono innamorata di te.

Qual è il tuo nome? Simile al firmamento
esso muta con l’ora. Sei tu Giulietta? o sei Teodora?
ti chiami Artù? o Niso ti chiami? Il nome
a te serve solo per giocare, 
Vorrei chiamarti: Fedele; ma non ti somiglia.

La tua grazia tramuta
in un vanto lo scandalo che ti cinge.
Tu sei l’ape e sei la rosa.
Tu sei la sorte che fa i colori alle ali
e i riccioli ai capelli.
La tua riverenza è graziosa come l’arcobaleno.

Sono i tuoi giorni un prato lucente
dove t’incontri con gli angeli fraterni:
il santo, adulto Chirone,
l’innocente Sileno, e i fanciulli dai piedi di capra,
e le fanciulle-delfino dalle fredde armature.
La sera, alla tua povera cameretta ritorni
e miri il tuo destino tramato di figure,
l’oscuro compagno dormiente
dal corpo tatuato.

Tu eri il paggio favorito alla corte d’Oriente,
tu eri l’astro gemello figlio di Leda,
eri il più bel marinaio sulla nave fenicia,
eri Alessandro il glorioso nella sua tenda regale.
Tu eri l’incarcerato a cui si fan servi gli sbirri.
Eri il compagno prode, la grazia del campo,
su cui piange come una madre
il nemico che gli chiude gli occhi.
Tu eri la dogaressa che scioglie al sole i capelli
purpurei, sull’alto terrazzo, fra duomi e stendardi.
Eri la ballerina del lago dei cigni,
eri Briseide, la schiava dal volto di rose.
Tu eri la santa che cantava, nascosta nel coro,
con una dolce voce di contralto.
Eri la principessa cinese dal piede infantile:
il Figlio del Cielo la vide, e s’innamorò.

Come un diamante è il tuo palazzo
che in ogni stanza ha un tesoro
e tutte le finestre accese.
La tua dimora è un’arnia fatata:
narcisi lontani ti mandano i loro mieli.
Per le tue feste, da lontani evi
giungono luci, come al firmamento.
Ma tu in esilio vai, solo e scontento.
.               Il mio ragazzo non ha casa
.               né paese.

La bella trama, adorata dal mio cuore,
a te è una gabbia amara.
E in tua salvezza non verrà mai la sposa
regina del labirinto.
Per il sapore strano del bene e del male
la tua bocca è troppo scontrosa.
Tu sei la fiaba estrema. O fiore di giacinto
cento corimbi d’un unico solitario fiore!

La folla aureovestita del tuo bel gioco di specchi
a te è deserto e impostura.
Ma dove vai? che mai cerchi? invano, gatta-fanciulla,
il passaggio d’Edipo sul tuo cammino aspetti.
O favolosa domanda, al tuo delirio
non v’è risposta umana.
Riposa un poco vicino a chi t’ama
angelo mio.

Quando mi sei vicino, non più che un fanciullo m’appari.
Le mie braccia rinchiuse bastano a farti nido
e per dormire un lettuccio ti basta.
Ma quando sei lontano, immane per me diventi.
Il tuo corpo è grande come l’Asia, il tuo respiro
è grande come le maree.
Sperdi i miei neri futili giorni
come l’uragano la sabbia nera.
Corro gridando i tuoi diversi nomi
lungo il sordo golfo della morte.

Riposa un poco vicino a chi t’ama.

Lascia ch’io ti guardi. La mia stanza percorri spavaldo
come un galante che passa
in una strage di cuori.
allo specchio ti miri i lunghi cigli
ridi come un fantino volato al traguardo.
O figlio mio diletto, rosa notturna!
Povero come il gatto dei vicoli napoletani
come il mendico e il povero borsaiolo,
e in eleganza sorpassi duchi e sovrani
risplendi come gemma di miniera
cambi diadema ogni sera
ti vesti d’oro come gli autunni.

Passa la cacciatrice lunare coi suoi bianchi alani…

Dormi.
La notte che all’infanzia ci riporta
e come belva difende i suoi diletti
dalle offese del giorno, distende su noi
la sua tenda istoriata.
I tuoi colori, o fanciullesco mattino,
tu ripiegasti.
Nella funerea dimora, anche di te mi scordo.

Il tuo cuore che batte è tutto il tempo.
Tu sei la notte nera.

Il tuo corpo materno è il mio riposo.

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