STORIE DI EMIGRATI

L’ing. Alberto Alberici, abruzzese appassionato della sua terra, esempio di tenacia e intelligenza in Argentina

Esponente della generazione dei bambini emigrati con i genitori nell’ultimo dopoguerra, questo figlio dell’antica Popoli non ha mai dimenticato la terra natia. La dolorosa esperienza dell’emigrazione, che ha superato con tenacia, con sacrifici e con intelligenza, sostenendo la famiglia e mai dimenticando l’Abruzzo. Laureatosi ingegnere, ha lavorato in molte tra le più importanti ditte elettromeccaniche prima di creare la sua impresa, fornitrice dell’industria petrolchimica, del gas e nucleare. Il suo impegno umanitario e l’attività in seno alla comunità abruzzese d’Argentina. 

BUENOS AIRES – Vita, opera e passioni di un abruzzese in Argentina. Potrebbe essere il titolo di un libro, certamente interessante, che testimoni le vicende umane di un bambino, poi ragazzo, quindi di un uomo che ha saputo affrontare a viso aperto le difficoltà, per costruire una vita esemplare. E’ il libro che potrebbe raccontare la storia di Alberto Alberici, abruzzese classe 1939, sposato, tre figlie, un nipote, ingegnere meccanico, industriale di successo e appassionato della natia Popoli. Nel raccontare le storie degli italiani che emigrarono nell’ultimo dopoguerra, abbiamo parlato dei casi di “piccoli emigrati”, quelli che non avevano l’età per decidere, che furono portati via dalla terra natia dai loro genitori che cercavano per le loro famiglie un futuro migliore, una terra di promesse, lontana dalla guerra appena vissuta.

E’ anche la storia di Alberto Alberici. Iniziata nella ridente Popoli, cittadina abruzzese in provincia di Pescara, nata attorno all’anno mille, posta tra i fiumi Pescara e Aterno e nota un tempo come “città dei tre Abruzzi”, per la sua posizione di centro nevralgico tra il Tirreno e l’Adriatico e tra Firenze e Napoli. Dopo la concessione in feudo del 1269 la cittadina fu governata per secoli dai Duchi Cantelmo, che ampliarono e rinforzarono il Castello, i cui resti ancora oggi dominano l’abitato. La pianta urbana si è sviluppata nel corso dei secoli seguendo caratteristiche idrografiche dei 4 corsi d’acqua che attraversano la città: i fiumi Aterno e Pescara, che confluiscono proprio a livello dell’abitato, e i fiumi Giardino e San Callisto che hanno le loro sorgenti nell’area urbana.

Durante la seconda guerra mondiale Popoli fu bombardata due volte e distrutti il ponte sul fiume Pescara e il centro cittadino e molti abitanti furono uccisi. Popoli diede i natali all’ingegnere Corradino D’Ascanio, inventore del primo prototipo di elicottero moderno e progettista della Vespa Piaggio. In quella cittadina – oggi di 5500 abitanti – nel 1939 nacque Alberici, secondo dei tre figli di Antonio Alberici e Bonita Pettinella. I nove anni trascorsi a Popoli sono rimasti profondamente impressi nella memoria dell’ing. Alberici perché, nonostante la guerra, furono gli anni della fanciullezza, delle scoperte della vita, degli aromi e dei sapori. Gli anni delle prime avventure, delle birichinate con gli amici, l’inizio della scuola.

Quel mondo felice nonostante i problemi, sparì bruscamente quando i genitori decisero di emigrare. Nel 1947 partì il padre, Antonio, che in Argentina aveva trovato un lavoro nella marina mercantile, come capo caldaie. Poi partì Bonita con i tre figli. Senonché, come avvenne purtroppo spesso, le promesse fatte a chi veniva chiamato dall’altra parte del mondo non furono mantenute, a cominciare da quella della casa. Antonio decise di rientrare in Italia, per cui spedì un telegramma annunciando la decisione e chiedendo alla moglie di non partire. Non erano tempi di whatsapp, anzi, anche i telegrammi, tardavano ad arrivare e quello spedito da Antonio si incrociò con la nave che era già partita da Genova per l’Argentina, dove si riunì la famiglia. Era il 1948 e fu l’inizio di un periodo difficile, di problemi, di amarezze, di delusioni.

Aiutati da un prete italiano, gli Alberici  riuscirono a sistemarsi in un locale nel quartiere di Saenz Peña, nella periferia di Buenos Aires, purtroppo inadeguato, al punto che Alberto e il fratello maggiore Luciano furono iscritti in una scuola di suore come alunni internati. Un doppio sradicamento per il piccolo Alberto in un ambiente che sentì inospitale: dalla terra natia e dall’affetto familiare e per di più, dovendo ricominciare la scuola da capo, benché avesse già fatto in Italia fino alla terza elementare. Vi rimassero per cinque anni e poi conclusero la primaria in un’altra scuola.

Nel frattempo suo padre, Antonio, cominciava a costruire la casa di famiglia, ma la disgrazia era in agguato e quando aveva appena 44 anni, morì, lasciando la moglie e i tre figli soli e senza alcun sostegno. Fu un dolore profondo che colpì Bonita e i suoi figli, costretti ad affrontare una vita di grandi e piccole rinunce. Come fu per Alberto il dover lasciare la musica e in particolare il violino, per il quale era molto dotato. Ma a volte, come riconosce Alberto, l’angoscia, il dolore, la sofferenza, sono la molla che fa scattare la reazione, di fronte alla voglia di vivere. Cominciò a lavorare giovanissimo e sempre di più, per poter aiutare a casa, dove la mamma Bonita faceva miracoli per sostenere la famiglia facendo lavori di cucitrice fino quasi all’alba.

Anche per lui il giorno cominciava prestissimo. Ad un certo punto lavorò dalle 3 alle 7 del mattino in una fabbrica di pasta. Andava poi di corsa per entrare nel secondo lavoro e la sera andava alla scuola industriale, rientrando a casa alle 23. E il fine di settimana diventava manovale, per aiutare a concludere la costruzione della casa di famiglia. Col tempo e con grande impegno personale e grazie ai sacrifici fatti le cose cominciarono a cambiare in bene. Riuscì a finire la scuola tecnica, ottenne nuovi lavori, si iscrisse all’Università Tecnologica Nazionale nella quale si laureò ingegnere meccanico. Si specializzò in programmazione industriale, e per otto anni fu docente presso la sua Università. Tra il 1973 e il 1980 lavorò presso importanti imprese metalmeccaniche (Siam Electromecánica, Ricsa S.A., ATMA, Covema e altre), occupando diversi incarichi, da capo settore a gerente di produzione. Inoltre fu gerente di produzione della Eternit in Argentina, quadruplicando la produttività dello stabilimento.

Nel 1980 avviò la sua prima attività personale, creando la “Ingeniería Vial-Ma SRL”, dedita alla vendita di macchine, ferramenta, attrezzi, motori e articoli industriali. Nel 1985 costituì una nuova ditta, la “Rómulo A. Barberis e  Hijo S.A.”, col tempo diventata “Talleres Versailles de Rómulo A. Barberis e  Hijo S.A.”, della quale è presidente. Produce elementi per l’industria petrolifera, petrolchimica, del gas e nucleare, anche su richiesta, secondo le specificazioni dei clienti più esigenti, tra i quali Shell, YPF, Chevron e la “Comisión Nacional de Energía Atómica”. La produzione viene certificata secondo norme internazionali di qualità.

La vita ti concede una rivincita, si dice in Argentina, oppure, come dicono i credenti, il Buon Dio non si dimentica di noi. Dopo le amarezze e le sofferenze, dopo i sacrifici coronati col successo professionale, l’ing. Alberto Alberici conosce anche l’amore della sua vita, l’avvocato Patricia Carmen Giallorenzi, quattro nonni di altrettante regioni d’Italia, anche se lei è particolarmente legata ai parenti che risiedono a Macerata. Alberto e Patricia hanno tre figlie, Veronica, Vanina e Valeria, che sono allo stesso tempo gioia e orgoglio dei coniugi Alberici. Hanno anche un nipotino, Joaquin, tre anni, un vispo maschietto, dolce e allegro. L’anno scorso Alberto ha vissuto l’immensa allegria di portare in Italia e nella natia Popoli tutta la famiglia:  moglie, figlie, generi e il piccolo Joaquin. “Una emozione senza pari, della quale rendo grazie a Dio”, dice l’ingegnere.

Ringraziamento: espressione di una fede profonda trasmessa dalla mamma, Bonita, che in Italia e in Argentina, di fronte ai momenti difficili o di dolore, si affidava con fiducia alla Madonna Santissima della Libera di Pratola Peligna. Come quando a Popoli si ammalò gravemente Lucia, sorella di Alberto, che allora aveva due anni e che guarì in un modo che i medici non riuscirono a spiegarsi. O come quando Alberto pregò la Madonna, per sua madre colpita da una malattia inguaribile, e lei non soffrì i dolori fortissimi, abituali in quella situazione. Che lo portò inoltre a rivolgersi a Padre Mario Pantaleo, il prete pistoiese deceduto nel 1992, oggi considerato santo in Argentina, e a collaborare con le sue opere di misericordia.

Alberto, conquistata una buona posizione, regalò alla sua mamma  il primo viaggio in Italia nel 1980. Poi ci furono altri viaggi, per Bonita, per Alberto e la sua famiglia, tutti immancabilmente con una sosta nell’amata Popoli. Dove naturalmente pensa di ritornare, e il suo sogno è di girare in largo e in lungo tutto l’Abruzzo. L’amore per la terra natia, per la sua regione, ha portato l’ing. Alberto Alberici anche all’incontro con i corregionali residenti in Argentina. Oltre ad essere vicepresidente del Centro Abruzzese di Buenos Aires, ha avuto una attiva partecipazione alla nascita e nei lavori del Comitato Uniti per l’Abruzzo, costituito dagli abruzzesi dell’Argentina all’indomani del sisma del 2009 per raccogliere fondi, coi quali collaborare alla ricostruzione delle zone colpite dal terremoto.

Alberici ha più volte manifestato la disponibilità ad autorità ed esponenti della Regione, a lavorare per collegare l’Argentina all’Abruzzo, anche in campo economico e imprenditoriale. Una disponibilità che unisce le sue capacità professionali e imprenditoriali al suo amore sconfinato per la terra natia. Ragione, tra l’altro, del “Premio Fedeltà al Lavoro” che gli assegnò la Camera di Commercio di Pescara e che gli fu consegnata nel 2006 durante una missione della stessa in Argentina.

“Mai, mai e poi mai ho dimenticato Popoli – dice l’ing. Alberici – è stata sempre presente nella mia vita, nei miei ricordi. La mia casa, le avventure con gli amici, i rumori, gli aromi e i sapori. I paesaggi, le montagne, le acque sorgenti, i fiumi. Le allegrie condivise sono state sempre vicine nei miei pensieri. I sogni dei miei genitori, le angosce e le paure vissute durante la guerra, mi hanno sempre accompagnato e hanno segnato la mia vita. Popoli fu, è e sarà per  sempre parte della mia vita e del mio cuore”. Forte e gentile. Da buon abruzzese!

 

Walter Ciccione

Tribuna Italiana
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