Test e falsi negativi – Sul Coronavirus, dal Post

In circa un anno di pandemia sono stati sviluppati numerosi test per rilevare o meno un’infezione da coronavirus. I test molecolari, quelli che chiamiamo “del tampone”, continuano a essere i più affidabili, ma negli ultimi mesi ulteriori studi e analisi hanno permesso di comprendere meglio quanto ci si possa fidare degli altri tipi di test. 

Il ministero della Salute ha diffuso da poco una nuova circolare, con la quale stabilisce che il risultato dei test rapidi antigenici “di ultima generazione” può essere equiparato a quello dei tamponi molecolari. D’ora in poi, in diversi casi non sarà più necessario confermare la positività al test antigenico con un successivo test molecolare. Questa circostanza comporterà notevoli conseguenze sulle attività di test e di controllo sanitario, e influenzerà anche il modo in cui sono raccolti i dati sull’andamento della pandemia.

Un rapido ripasso sulla differenza tra i due test può tornarci utile.

Il test molecolare si effettua prelevando campioni di muco e saliva da naso e bocca tramite un lungo tampone, che ricorda i cotton fioc. Dopo il prelievo si effettua poi un esame in laboratorio, con macchinari che amplificano la quantità del materiale genetico nel campione, rendendo quindi possibile l’individuazione dell’eventuale presenza del coronavirus. Il test richiede poche ore per essere svolto, ma negli ultimi mesi è stato difficile avere in tempi breve l’esito dell’esame, a causa dell’alto carico di lavoro per i laboratori.

Anche il test rapido antigenico inizia con un prelievo tramite tampone, di solito meno invasivo, ma il campione viene esaminato cercando l’eventuale presenza di antigeni, cioè delle proteine estranee al nostro organismo e che sono tipiche del coronavirus. È un test più rapido, richiede circa 15 minuti per avere un risultato, ma è meno affidabile rispetto a quello molecolare: può dare falsi negativi (persone contagiate che però risultano negative), mentre è più affidabile nel caso in cui rilevi un caso positivo (è raro che indichi come positiva una persona in realtà non contagiata).

Di recente sono stati introdotti alcuni nuovi test rapidi antigenici, “di ultima generazione”, ritenuti più affidabili, ma più costosi di quelli in circolazione da più tempo: quelli nuovi costano circa 50 euro contro i 30-35 dei loro predecessori. La circolare spiega che di preferenza dovrebbero essere usati i primi, ma che si possono anche impiegare i secondi, a patto che abbiano più dell’80 per cento di sensibilità e oltre il 97 per cento di specificità.

Confusi? Niente paura.

Se un test ha una sensibilità molto alta, il rischio di falsi negativi (persone positive non rilevate) è basso. Se possiede anche un’alta sensibilità, diventa basso il rischio di falsi positivi (persone non contagiate segnalate come positive). 

Il test molecolare rimane il sistema di elezione per rilevare un’eventuale infezione, ma gli antigenici potranno essere impiegati con minori riserve per esempio se ci sono sospetti sul fatto che gli individui da testare siano positivi: se per esempio sono stati contatti di positivi e presentano sintomi. Il loro impiego potrebbe rivelarsi utile soprattutto per le attività di controllo nelle comunità chiuse, come in carcere o nelle case di cura. 

Il nuovo schema con i tempi di conferma del test antigenico, nella circolare del ministero della Salute
I tempi sono importanti. In caso di persona sintomatica, il test antigenico “va eseguito il più presto possibile e in ogni caso entro cinque giorni dall’insorgenza dei sintomi”. Con esito negativo, il test deve sempre essere ripetuto con tampone molecolare o con un secondo test antigenico rapido a distanza di 2-4 giorni. In caso di persone senza sintomi, invece, “il test antigenico rapido va effettuato tra il terzo ed il settimo giorno dall’esposizione”.

Queste novità, potrebbero influire sul modo in cui teniamo traccia dell’andamento della pandemia: trovate tutto qui.

Moderna Italia
Oggi intorno a mezzogiorno è stata consegnata presso la sede dell’Istituto Superiore di Sanità, a Roma, la prima fornitura con 47mila dosi del vaccino contro il coronavirus prodotto dall’azienda statunitense Moderna. Il vaccino di Moderna era stato autorizzato lo scorso 6 gennaio dalla Commissione Europea e successivamente in Italia.
 

Vaccinati contagiati
Parlando di vaccini, nelle ultime settimane sono circolate notizie su alcune persone risultate positive al coronavirus nonostante avessero da poco ricevuto il vaccino contro il coronavirus di Pfizer-BioNTech, per ora il più diffuso. Le loro vicende sono state raccontate in alcuni articoli di giornale, talvolta con toni allarmati e titoli che sembravano alludere al fatto che il vaccino fosse meno affidabile di quanto emerso dai test clinici condotti nei mesi scorsi su decine di migliaia di individui. In realtà è del tutto normale che si possa essere contagiati nei giorni subito dopo la vaccinazione, semplicemente perché l’organismo non ha ancora fatto in tempo a sviluppare un’adeguata risposta immunitaria.

Il ritardo tra il momento della vaccinazione e lo sviluppo di una risposta immunitaria è comune a numerosi vaccini e non dipende tanto dal loro funzionamento, quanto dal tempo che impiega l’organismo ad adattarsi alla nuova situazione e a organizzare una risposta. Non c’è da preoccuparsi.

La situazione dei vaccini in Italia, in tempo reale ⌛️

…e tre
Terza cosa sui vaccini, incoraggiante. Oggi la società farmaceutica AstraZeneca ha presentato la richiesta per ottenere l’autorizzazione all’uso del proprio vaccino contro il coronavirus in Europa. La richiesta di autorizzazione è stata presentata all’Agenzia europea per i medicinali (EMA), l’agenzia dell’Unione Europea che si occupa di farmaci, che la analizzerà con una procedura che dovrebbe concludersi entro la fine di gennaio: a quel punto, se non ci saranno problemi, l’EMA potrà raccomandare l’autorizzazione del vaccino alla Commissione Europea, che formalmente potrà permetterne l’utilizzo.

🟡🟠🔴
Lunedì è tornato in vigore il regime a tre aree (gialla, arancione e rossa) per le regioni italiane, dopo le modifiche attuate per il periodo natalizio. Lombardia, Emilia-Romagna, Calabria, Veneto e Sicilia sono diventate “area arancione”, il resto d’Italia è invece area gialla “rafforzata” (le regole della zona gialla “rafforzata” sono qui) fino al 15 gennaio, giorno in cui le regioni verranno di nuovo valutate e in cui scadono i decreti attualmente in vigore.

Parametri
Per scegliere i colori che abbiamo appena visto, si applicano diversi parametri che servono per valutare l’andamento dell’epidemia nelle singole regioni. Lo schema di attribuzione dei colori è diviso in tre parti: l’incidenza settimanale ogni 100mila abitanti, i livelli di rischio e gli scenari. I livelli di rischio e gli scenari erano già presenti nel decreto pre-natalizio. Rispetto a quella versione, invece, è stato aggiunto il parametro relativo all’incidenza settimanale dei casi, cioè quante persone sono risultate positive ogni 100mila abitanti negli ultimi sette giorni.

Per valutare l’incidenza settimanale è stata fissata un’unica soglia, pari a 50 casi ogni 100mila abitanti: le regioni possono essere sopra o sotto, ma in ogni caso può diventare rossa anche una regione con incidenza inferiore alla soglia, oppure può essere gialla un’altra con incidenza superiore. Questo perché il parametro dell’incidenza viene considerato insieme ad altri due: i livelli di rischio – basso, medio e alto – e i quattro scenari, chiamati semplicemente 1, 2, 3 e 4. In tutto ci sono 24 possibili combinazioni.




Test e falsi negativi – Sul Coronavirus, dal Post
Alcuni clienti ai tavoli di un ristorante mangiano separati da un divisorio di plastica per limitare la diffusione del coronavirus: dopo le feste in Thailandia sono state imposte nuove limitazioni per prevenire una “seconda ondata” di casi positivi – Bangkok, Thailandia (Lauren DeCicca/Getty Images)

Il ritorno
Nella scorsa newsletter vi avevamo raccontato il piccolo rimpasto nella giunta della Lombardia. La novità più rilevante è stata l’ingresso di Letizia Moratti, che ha sostituito Giulio Gallera come assessore al Welfare, ed è diventata vicepresidente del governo regionale. Moratti è una delle leader politiche più note nel centrodestra, ma da circa dieci anni era praticamente sparita dagli impegni politici. Visto che il suo nuovo incarico nella regione più interessata dalla pandemia sarà seguito con grande attenzione, può essere utile un ripasso sulla sua storia.

Portogallo
Le conseguenze dell’epidemia da coronavirus fanno temere l’inizio di una nuova e grave crisi per il Portogallo, simile a quella che dieci anni fa interessò il paese e che lo costrinse a un lungo periodo di austerità. Diversi indicatori economici, tra i quali il tasso di disoccupazione, sono peggiorati negli ultimi mesi, e il governo guidato dal primo ministro António Costa ha iniziato a traballare a causa delle divisioni tra partiti di sinistra sul bilancio e sulla spesa sociale. Per il momento non sembra che il Portogallo si trovi in una situazione molto peggiore rispetto ad altri paesi europei, sofferenti a causa delle chiusure imposte negli ultimi mesi: ma come ha scritto il Financial Times, «l’impatto economico della pandemia ha risvegliato ricordi dolorosi della crisi del debito, proprio quando questi ricordi cominciavano a svanire».

Donazioni di organi
Nel 2020 a causa della pandemia da coronavirus c’è stata una riduzione del numero di trapianti eseguiti negli ospedali italiani, ma la più grande preoccupazione dei medici riguarda altri due dati: la diminuzione del numero di donatori e l’aumento della percentuale di opposizioni espresse nelle dichiarazioni di volontà raccolte dai comuni. Sono due problemi rilevanti per un’attività che ogni anno consente di salvare la vita a migliaia di persone, e che potrebbe salvarla ad altre migliaia in attesa di un organo. Quindi non basta la ricerca: serve anche un costante lavoro di sensibilizzazione.

Seconde case
Secondo l’ultimo rapporto “Gli immobili in Italia”, pubblicato dall’Agenzia delle Entrate con i dati del 2019, in Italia ci sono 5 milioni e 556 mila seconde case, il 17,2 per cento del totale delle abitazioni. In questa mappa sono visualizzati i dati territoriali, ad eccezione delle province di Gorizia e Pordenone, di cui non sono disponibili. Tra le province con più seconde case ci sono Roma (215mila), Torino (177mila), Cosenza (126mila), Lecce (117mila), Napoli e Cuneo (112mila). Naturalmente non è facile capire quante siano e dove siano le case “inutilizzate”: sarebbe un dato molto utile anche per l’Agenzia delle Entrate, soprattutto per scoprire i casi di residenze fittizie, cioè di persone che dichiarano la seconda casa come abitazione principale per non pagare l’IMU, l’imposta municipale unica.

È presto per capire se e quanto cambierà il valore economico delle case a causa della pandemia: ci potranno essere notevoli differenze da regione a regione e di città in città. Le seconde case hanno avuto e hanno un valore aggiuntivo oltre a quello strettamente economico: la possibilità di spostarsi in luoghi più accoglienti per lavorare da casa e subire minori limitazioni.

Noi confidiamo di raggiungervi a prescindere dal posto in cui siate, anche venerdì prossimo. Ciao!

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