Turchia ed Europa: l’eterno nodo di Gordio

Un articolo di Lino Lavorgna da “CONFINI” – www.confini.info

La leggenda è nota. Nell’antica Anatolia il popolo dei Frigi costruì una nuova città, gettando le basi per un proprio stato, politicamente strutturato. L’oracolo di Telmesso (l’attuale Fethiye), predisse che il primo uomo che vi fosse entrato su un carro trainato dai buoi sarebbe diventato re. La bella sorte toccò a un contadino di nome Gordio. La cittadina, che corrisponde all’attuale Yassihüyük, prese il suo nome. Il figlio adottivo di Gordio, Mida (proprio quello che trasformava tutto in oro), divenuto re a sua volta, legò il carro a un palo con una corda annodata in modo così complesso da renderne impossibile lo scioglimento, sancendo con una profezia “l’indissolubilità del potere Frigio”: solo chi fosse stato in grado di sciogliere il nodo avrebbe dominato l’intera Asia Minore. Per oltre quattro secoli il carro restò ben attaccato al palo. Nel 333 A.C., Alessandro Magno, dopo un rapido e infruttuoso tentativo, recise il nodo con la spada e iniziò il suo cammino di conquistatore. L’episodio, che mischia storia e leggenda, è il fulcro di un vecchio testo scritto a due mani da Ernst Jünger e Carl Schmitt: “Il nodo di Gordio”. Varrebbe la pena leggerlo (ma è introvabile in italiano) per meglio comprendere ciò che oggi ci spaventa. Il destino dell’Oriente e dell’Occidente è indissolubilmente legato a quella profezia. Chiunque tentasse di “amalgamare” le due anime del mondo, dovrebbe fare i conti proprio con la scure che recise il nodo con la forza, rivelando una verità incontrovertibile: mai Oriente e Occidente sono riusciti a prevalere l’uno sull’altro. Ogni tentativo, in passato, dall’una e dall’altra parte, ha solo creato disfacimenti immani sui fronti esterni e su quelli interni. L’inciso “in passato” non è stato utilizzato a caso: la storia si ripete, ma a volte cambia. Ritorneremo a parlare del confronto tra “Oriente e Occidente”, riservando quest’articolo esclusivamente al ruolo della Turchia nello scenario europeo, alla luce della sua volontà di “entrare nell’Unione” e tenendo conto, quindi, dell’intricata matassa di cui oggi si discute quotidianamente. La Turchia è un problema per l’Europa; diciamolo a chiare lettere e senza tanti giri di parole. Preziosa (ma ora non si sa fino a che punto) alleata militare nello scacchiere NATO; in rotta di collisione con la Russia (che dell’Occidente è primario alleato nella lotta all’Isis), pur continuando a intrattenere con essa imponenti relazioni commerciali; minata al suo interno da conflitti insanabili; popolata da una maggioranza di musulmani (il 99%), che fanno storcere il muso agli Europei più saldamente legati alle radici cristiane e fanno venire il mal di testa agli analisti meno coinvolti emotivamente, i quali hanno il difficile compito di elaborare complesse indagini sociologiche: quanti sono, tra gli oltre settanta milioni di musulmani, coloro che godono nel vedere i fondamentalisti colpire uomini e simboli della Civiltà Occidentale? Oggi i “nodi di Gordio” da sciogliere si sono amplificati a dismisura. Che la Turchia abbia mire egemoniche ed espansionistiche non è un mistero; tra l’altro è un vizio antico. Il primo Ministro Ahmet Davutoğlu l’ha spiegato chiaramente già nel 2001, nel suo poderoso volume di circa 700 pagine, “Profondità Strategiche”, purtroppo mai tradotto in italiano, ma disponibile in Inglese. La Turchia deve diventare un attore decisivo in Medio Oriente, smarcandosi dall’ombra statunitense, necessaria un tempo per proteggersi dalla minaccia sovietica. La vocazione espansionistica prevede otto aree d’influenza: Balcani, Mar Nero, Caucaso, Caspio, Asia Centrale, Golfo Persico, Medio Oriente e Mediterraneo. Porte aperte ai cittadini degli ex territori imperiali, con un invito che più chiaro ed emblematico non può essere: “Per tutti i musulmani balcanici, la Turchia è un porto sicuro. L’Anatolia vi appartiene, fratelli e sorelle di Bosnia. E state certi che Sarajevo è nostra”. Se a questo aggiungiamo le forti relazioni con il principale partner commerciale, la Germania; i rapporti con i nemici storici, Russia e Iran, in nome degli interessi comuni (pecunia non olet, come ben dimostrano le diatribe sul petrolio venduto dall’ISIS) e la manifesta volontà di cavalcare due scenari – “La Turchia può essere europea in Europa e orientale all’Est, perché siamo entrambe le cose” – abbiamo, allo stesso tempo, un quadro “chiaro e scuro” sul paese che chiede di entrare in Europa. Un bel casino, aggravato da altri aspetti che per noi occidentali rasentano la barbarie, fugando ogni dubbio sul possibile processo d’integrazione. Nel 2015 si è celebrato il centesimo anniversario del “Genocidio Armeno”: oltre 1.500.000 persone trucidate dai “Giovani Turchi”, sempre afflitti dal sogno della “Grande Turchia”. Il mondo intero ancora aspetta il riconoscimento del genocidio, di cui in patria è vietato parlare, pena la galera. Le vessazioni subite dai Curdi sono sotto gli occhi di tutti, ma la storia di quel popolo è antica e terribile, ancorché complessa e poco nota ai distratti occidentali.
Il rispetto dei diritti civili e la libertà di stampa sono fortemente compromessi. La donna vive ancora in uno stato di profonda sottomissione. Hanno fatto il giro del mondo le “gaffe” del vice premier Bülent Arinç, per il quale le donne non devono ridere in pubblico, allo scopo di difendere “i valori morali di decenza e castità” e possono essere tacitate con un caustico: “Stai zitta tu, che sei donna!”. Nell’agosto del 2014, una signora che aveva osato indossare i pantaloni e sedere in auto accanto a un uomo, è stata definita dai magistrati “una provocatrice” e pertanto le coltellate ricevute dall’ex marito sono state giudicate con le attenuanti, determinando uno sconto di pena di ben NOVE ANNI, rispetto a quanto chiesto dalla Procura. Lo stesso premier ha più volte sostenuto che “le donne non dovrebbero lavorare, ma stare a casa a generare almeno tre figli”. Si potrebbe continuare all’infinito, ma il concetto è chiaro. Esistono tante brave persone in Turchia, che pagheranno un prezzo alto per una maggioranza che vive in netto ritardo con la storia. Ma fin quando gli oppositori di un sistema marcio e ben radicato, non riusciranno a “levarsi (in armi o con altri mezzi possono deciderlo solo loro) in un mare di triboli per, combattendo, disperderli”, le porte della Grande Madre Europa dovranno restare ben chiuse.

 

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