Il Vangelo rivela continuamente le possibilità di bene, le qualità positive di noi esseri umani, il bene praticato e insieme le ombre, le fragilità, la superbia, la chiusura, l’indifferenza, le forme di egoismo.
Questo puntualmente anche nel Vangelo di questa domenica (Luca 14, 1.7-14).
L’essere insieme attorno ad una tavola è una esperienza costitutiva del nostro ritrovarci come donne e uomini, dai bambini agli anziani, riguarda la quotidianità e i momenti di particolare significato della vita: le nascite, i matrimoni, i compleanni, gli anniversari, le feste di famiglia e anche i momenti di tristezza e di dolore; quelli di vita sociale e comunitaria.
Tenendo sempre presenti le centinaia di milioni di persone che non possono sedersi attorno ad una mensa perché manca loro il cibo, consideriamo che Gesù di Nazaret ci ha invitato a ricordare la sua presenza nella nostra vita e nella storia dell’umanità attorno ad una mensa. Anche se poi nel corso degli anni la separatezza sacrale e clericale ha sbiadito, fino anche a cancellare esperienza, ripresa parzialmente fra ombre e luci dopo il Concilio Vaticano II.
Una società gerarchica e selettiva si dimostra anche nell’organizzazione di un pranzo e di una cena, e nell’assegnazione dei posti dei partecipanti.
Ci sono i primi, i secondi, i terzi fino agli ultimi posti.
Anche il momento della condivisione del cibo evidenzia le gerarchie del potere: istituzionale, politico, militare, religioso.
Si è soliti affermare che queste non sono poi considerazioni importanti, perché così è sempre stato, ma invece rivelano e confermano quanto poi avviene nella società.
Alle volte può succedere e appare come qualcosa di straordinario che qualcuno rompa la rigidità del protocollo gerarchico e si sieda fra color che non esibiscono nessun grado. Si tratta di esempi rari, ma significativi. Anche nella Chiesa, così abituati da anni immemorabili ad una gerarchia separata in alto rispetto al popolo, ancora ci si meraviglia della semplicità di un vescovo o di un prete di particolare rilievo nella gerarchia; ancora sorprendono atteggiamenti che invece dovrebbero essere connaturati allo spirito di servizio e di semplicità ispirato dal vangelo, di cui dovrebbe far parte finalmente anche l’abolizione dei titoli di eminenza, eccellenza, monsignore e i vestiti che appartengono ad un’altra storia di separatezza e di clericalismo accentuati.
Tutti nella Chiesa dovremmo affermare come l’Apostolo Pietro sulla strada di fronte al pagano Cornelio che si era inginocchiato di fronte a lui: “Alzati perché io sono sono nient’altro che un uomo”.
Un altro insegnamento di Gesù riferito alla convivialità attorno alla tavola riguarda la gratuità e il superamento di ogni esclusione come criteri di partecipazione.
Non si tratta di organizzare ogni tanto un pranzo per i poveri o per le persone in difficoltà, per poi procedere in altro modo con la coscienza tranquillizzata.
Si tratta invece di un modo di vivere che si libera da ogni discriminazione ed esclusione e che trova anche attorno alla mensa concretezza e visibilità, per cui la mensa rivela e conferma le scelte di vita. Un insegnamento sempre attuale, in evidenza in questa società in cui vergognosamente il colore della pelle è diventato il criterio per essere ammessi o rifiutati.
Essere neri diventa un problema per la stupidità e l’arroganza di bianchi di aver trovato anche la guida politica per questa disumanità.
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