VANGELO DI DOMENICA 19 SETTEMBRE 2021

ESSERE AL SERVIZIO
Vangelo di Marco 9,30-37

30 Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31 Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà». 32 Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni.
33 Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». 34 Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. 35 Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti». 36 E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro:
37 «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Il Vangelo di questa domenica (Marco 9,30 – 37) propone alla nostra riflessione la questione cruciale del potere. Gesù di Nazareth per la seconda volta annuncia ai suoi discepoli quale sarà la sua prossima sorte: ” Sarà consegnato nelle mani delle autorità religiose e politiche che lo uccideranno; tre giorni dopo la morte risusciterà”. Una fine violenta ma non definitiva perché l’amore che anima la sua vita e la sua disponibilità a favorire la vita di tutte le persone è più forte della morte e continua oltre ad essa. Si possono ricordare con viva memoria le persone che compongono il popolo immenso di donne e uomini che come Gesù hanno avvertito che le conseguenze del loro parlare ed agire sarebbero state la violenza contro di loro e la morte da parte del potere organizzato che viola i diritti umani, favorisce le disuguaglianze e le ingiustizie che loro denunciavano e per il cui superamento si battevano con coraggio. Fra loro possiamo ricordare Meena Keshwar Kamal attivista afgana impegnata nella difesa dei diritti delle donne, fondatrice del movimento di Rawa (Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan) assassinata nel 1987 a 31 anni. Come lei tante donne sotto tutti i cieli del Pianeta coraggiose, certo non senza timore e tremore, convinte intimamente che il loro sentire, parlare, agire e organizzarsi sarebbe continuato dopo la morte per l’amore e il senso profondo delle loro vite, vissute con amore alle persone nelle loro concrete condizioni esistenziali, sociali culturali, politiche religiose. Vite impegnate e donate per la vita, poi risorte nella continuazione delle vite a cui si sono dedicate e per cui sono state uccise. Gesù domanda ai discepoli di che cosa stavano discutendo lungo la strada. La risposta riguarda la questione di chi è più importante degli altri, di chi assume maggior prestigio e così può essere influente e comandare.
Questo l’orientamento chiaro di Gesù:” Se uno vuole essere il primo, deve essere l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. L’umiltà è una straordinaria virtù umana, culturale, etica, spirituale, politica. Non significa abbassare la testa e subire bensì aver coscienza delle proprie possibilità di bene acquisite, arricchite con disponibilità ed impegno, da mettere al servizio della propria famiglia e comunità, del bene comune nell’ambito della propria professione, competenza, incarico pubblico. Insieme aver coscienza dei propri limiti, da cercare di migliorare e far evolvere in modo positivo. Cercare il proprio prestigio è per il proprio ego e spesso comporta l’umiliazione, la mortificazione, il ricatto di chi è vicino, sia nei rapporti più personali che in quelli pubblici. Essere “ultimi” non è umiliante, tutt’altro: è sentire la vita nel suo profondo significato: comunicare amore e contribuire al bene. Significa essere primi sovvertendo i criteri del potere.

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